Roberto Cacciapaglia o della «fonocrazia». Potere assoluto non alla musica ma ai suoni, lui che pure è stato, nei primi anni '70, «gran sacerdote» di elettronica e non ha mai abbandonato la musica classica, forte della sua educazione al Conservatorio "Verdi" di Milano. E oggi cede di nuovo all'incanto delle sonorità acustiche. Non le dissonanze della musica colta e di ricerca del Secolo Breve né le assonanze della «musica di comunicazione», rock e pop in testa, ma tutte e due insieme, in una parola Sonanze, titolo del suo primo album che licenziava appena ventenne (e già prezioso interlocutore fonologo del Cnr di Pisa) mettendo in campo orchestra, coro e musica elettronica sotto l'aura della musica «cosmica» tedesca.
Teatro alla Scala e computer vanno a nozze, maestro Cacciapaglia.
«Non sono mai riuscito a fare una selezione tra le anime della musica sin da quando, al Conservatorio, ero marcato stretto dal mio maestro di composizione perché me ne andavo nei posti più improbabili a suonare la "musica del diavolo", il rock. Ma il potere del suono è l'unica forza in grado di governare le parti più profonde del nostro essere. La musica è soggetto di se stessa giacché non deve dare immagini o seguire concetti. Da sempre, la sento specchio della mia evoluzione».
Milanese di nascita e del mondo: vanta una nutrita filmografia (l'ultimo titolo, Il pianto della statua di Elisabetta Sgarbi, l'ha visto al Festival di Locarno 2007) mentre da Mosca, il teatro d'opera di Galina Pavlovna Visnevskaja, vedova Rostropovic, gli ha commissionato un'opera da Gelsomino nella città dei bugiardi di Rodari, in scena nell'autunno 2011. Ma Sicilia nel sangue (la madre era di Gioiosa Marea) e nell'arte, specialmente. Non solo per amatissime «incursioni» (la scorsa estate in concerto a Catania, a Palermo in tour con il suo nuovo Ten directions, a febbraio prossimo) ma per incontri che gli hanno cambiato la vita.
Proviamo a far nomi. Franco Battiato...
«Avevo vent'anni e Franco aveva appena terminato Fetus. Eravamo tra i pochissimi, all'epoca, con lui e Brian Eno, a far uso delle speciali tastiere elettroniche VCS3, che usavo già in Conservatorio. L'incontro con Battiato mi ha davvero cambiato la vita: partecipai con lui a Pollution, ho aperto suoi tour, ho diretto la sua musica e, venerdì 19, alle 21, saremo vicini e lontani, su Radiorai Uno. Noi dagli studi Rai e lui da Milo canterà due miei pezzi in latino. Tutti in cuffia e in sperimentazione, secondo un sistema che elude il ritardo di trasmissione».
L'elettronica sembra essere, hic et nunc, l'ultima grande frontiera della musica. E poi?
«Esiste già un dopo, dal momento che oggi un violino e un violoncello tengono conto dell'esperienza elettronica: io per primo uso gli archi con pochissimo "vibrato", un'eredità delle frequenze elettroniche opposta alla tendenza prettamente romantica che, in orchestra e in voce, riponeva nel "vibrato" la massima espressione. Tuttavia se penso alla scrittura musicale, mi viene sempre in mente di quando, da bambino, andavo in Sicilia. In treno, sotto alla lucina blu, al finestrino, vedevo sfrecciare nella notte paesaggi e casette. Le rotaie mi sembravano un emozionante pentagramma e io ero fermo, al centro, sul treno. Ancora oggi, quando scrivo musica, tengo gli strumenti solisti al centro come il treno, e faccio girare intorno il resto dell'orchestra, come il paesaggio, attraverso fasce sonore che da "pianissimo" vanno a "fortissimo" e tornano indietro, come costellazioni. E' una visione post-elettronica che tiene conto del suono cosmico e dell'immensa lezione di Pitagora. I codici musicali coincidono con l'armonia cosmica e i disegni dell'universo...».
di Redazione
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