Cultura
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18/04/2011 23:36

Enzo Biagi: Sicilia, terra a basso reddito e ad alto consumo

Un articolo apparso sul Corriere della Sera 13 anni fa

di Enzo Biagi

Enzo Biagi
Enzo Biagi

Una Regione con due facce da decifrare Sicilia, l’isola degli italiani esagerati Battiato: siamo la sintesi delle storie che ci hanno preceduto. Camilleri: l’ironia unico modo per raccontare questa terra Goethe, per cominciare, va sempre bene: “L’Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell’anima: qui comincia tutto”. Vero. Guarda la storia.

Proprio il 12 marzo 1909, a Palermo, in piazza Marina, quattro colpi di revolver stendono a terra, avvolto nel cappotto troppo lungo, Joe Petrosino, detto Dago. Un detective arrivato da New York per indagare sulla malavita italo – americana. Piccolo, forte, la faccia segnata dal vaiolo, “faceva pensare al mastino”, scrive Luigi Barzini, un famoso giornalista di allora.

 

Ho conosciuto Falcone e Borsellino: Falcone aveva una figura tonda e un volto sorridente, due occhi ironici; uno come Borsellino lo potevi incontrare con l’ombrello al braccio e il Times che spunta da una tasca, anche nei dintorni della City: un distinto gentleman. Anche loro indagavano sul vecchio problema: accoppati tutti e due. Qualche targa stradale, qualche commemorazione, come si addice ai bravi servitori dello Stato. Difficile capire l’Italia, quasi impossibile la Sicilia, un’isola abitata da italiani esagerati. Ci sono sempre due facce da decifrare, due possibilita’.

 

Quando Joe Bonanno, detto Banana, capo della “famiglia” mafiosa di Brooklyn, sbarca da un aereo a Roma, tra quelli che lo ricevono in pompa magna, c’e’ anche un ministro dc, Bernardo Mattarella. Tempo dopo Cosa Nostra ammazza Piersanti, un suo generoso figliolo. Tutti conoscono la Sicilia degli itinerari turistici o quella un po’ ironica e misteriosa dei film e dei racconti: le pianure calcinate e le montagne aspre dove si va a cacciare il coniglio selvatico, e i palazzi dei baroni coi quadri, le porcellane e i mobili preziosi arrivati anche dalla Cina, e alle pareti i ritratti degli antenati, duri funzionari borbonici o sorridenti e bionde fanciulle britanniche, che seguendo i marinai di Nelson erano venute ad accasarsi nell’isola. Ci sono due mondi e due, o forse piu’, realta’ che non si incontrano mai.

 

Una sera sono stato invitato a cena in un circolo esclusivo, a Mondello. Un gruppo di professionisti intelligenti con le loro eleganti signore. Mi sembrava una scena ispirata da Kipling, un party tra residenti in India, smoking e decorazioni, e mi sentivo magari ospite del grande Gatsby: il vento muoveva appena gli ombrelloni, l’erba sembrava bianca sotto la luce dei riflettori che illuminavano le lucide schiene abbronzate delle signore, mentre il pianista suonava quella canzone che dice: “Que sera, sera”. E il solito Goethe aggrava ancora la situazione: “Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?”. Gia’: chi sa qualcosa di preciso? Comincia il paesaggio a confondere le idee: i sicomori, come nel Sudan, e il papiro, come in Egitto, e poi le palme e i cactus che evocano il deserto, e il poeta russo Andreij Belyj resta sconvolto dallo stridore delle cicale e dal tripudio dei colori: il giallo dello sparto, il rosa del rododendro e dei grappoli di tamerici e il verde dei carrubi. Piu’ tardi arriva Tomasi di Lampedusa, e complica ancora il discorso dal punto di vista psicologico: “Cambiare tutto per non cambiare niente”.

 

Siamo seri: ma che cosa hanno da conservare? Hanno pochissimo reddito e moltissimi consumi. Manca tutto: strutture, servizi, industrie ma non soldi. Spesso si guadagna piu’ a non lavorare.

 

Davanti alla chiesa c’e’ un solo mendicante: va rispettata la divisione del territorio. E trovarono perfino uno spazzino che subappaltava a un altro “operatore ecologico” un pezzo di marciapiede. Se uno a Palermo dice: “Sono a vostra disposizione”, per me e’ un signore molto cortese, ma ti avvertono: “Puo’ essere anche un socio di Cosa Nostra”. Se uno a Venezia dice: “Servo suo, chel comanda”, e’ invece soltanto molto gentile. “Non c’e’ speranza” mi spiego’ una volta un amico. Spero che qualcosa cambi anche nel Dna della gente, che forse sta mutando, mi ha detto lo scrittore Camilleri. E mi spiegavano il vecchio gioco della politica: quando le cose si mettono proprio male arriva il soccorso nazionale. Roma interviene perche’ i voti dell’isola diventino voti suoi. Ecco un primo scambio di favori. Le persone hanno bisogno e il bisogno crea una dipendenza.

 

Il potere in Sicilia e’ muto: chi parla non conta. Non da’ ordini ai suoi: debbono capire. Ci penso.

 

Me lo diceva anche Buscetta: quando due dei “nostri” si trovano in un commissariato di polizia, non importa che chiacchierino: si guardano e si capiscono. Su cinque milioni di abitanti quasi uno lavora nel settore pubblico: Usl, ente, Regione, Comuni, Provincia e allora e’ importante, come del resto ovunque dalle nostre parti, “conoscere qualcuno”, ma di quelli che contano, e bisogna tenerselo buono. Che cosa si legge ne Il Padrino?: “Gli fecero una proposta alla quale l’altro non poteva dire di no”. Se davanti alla vostra porta trovate un mazzo di fiori pensate magari a un omaggio; in Sicilia e’ un avvertimento. E pagano anche gli innocenti. C’e’ in prigione un uomo che racconta come ha strozzato un ragazzino, colpevole di essere figlio di un concorrente, di un’altra cosca: lo prese alle spalle, e strinse, senza vedere, in quegli occhi innocenti, lo sgomento.

 

Ho visto a Catania Nico Querulo, cinque anni, ferito agli occhi, non vede, mentre galoppava sul suo cavallino, da colpi di pistola sparati durante un regolamento di conti. Dovevano punire due compari che non avevano versato al clan l’incasso di alcune estorsioni. Un tale Luciano Trovato ha confessato di aver ucciso con due colpi di pistola alla nuca la nipote Annalisa, venti anni, perche’ frequentava giovani di una camarilla nemica. Una faida scoppiata nel 1991 a Catania ha mandato al cimitero in cinque anni oltre 500 morti ammazzati. Molti i condannati all’ergastolo in luglio per l’uccisione di un ispettore di polizia e del giornalista Giuseppe Fava. L’organizzatore degli assassinii e’ l’ex cassiere di un distributore di benzina, che mi descrivono come un bravo e mite giovane di buona famiglia che ha partecipato anche a una strage: quattro abbattuti con una raffica. Gli ordini delle esecuzioni arrivano dal carcere, via telefonino Gsm, gentilmente concesso ai boss da due agenti del penitenziario.

 

Tanti rimpiangono l'”onorata societa” del passato che garantiva un certo ordine. Rispettava, ad esempio, le donne e i bambini. La sua forza erano le regole; un genio quello che le aveva inventate. Esistevano anche tra i criminali; non ci sono piu’. La mafia e’ diventata moderna: e’ passata dal “pizzo”, l’estorsione, al ruolo dell’impresa, agli affari. Fa circolare tanto denaro. Non e’ un fattore ereditario, non e’ un carattere genetico, ma un retaggio storico. Qui hanno combattuto in tanti, arabi, spagnoli, francesi, perche’ come spiega un detto locale: “La volpe piscia lontano dalla sua tana”, e bisognava difendersi dagli schizzi.  

 

La legge della sopravvivenza. Chiesi a Tommaso Buscetta chi e’ un “uomo d’onore”. Risposta: “Uno che non si puo’ offendere o schiaffeggiare. Uno col quale si puo’ discutere ed eventualmente sparargli. E poi una persona che non mente: non ha interesse a farlo. Le bugie si ritorcerebbero contro di lui”. Forse la parola piu’ usata in Sicilia e’ “favore”. Tutti collaborano alla elargizione di appoggi e di sostegni.

 

Noi – spiegava Elio Vittorini – siamo un popolo triste”. Andai una volta all’obitorio seguendo la triste vicenda di uno sconosciuto di cui avevo visto la sagoma tracciata col gesso sul marciapiede, sulla quale i ragazzini giocavano saltellando: fui accolto da un sorridente custode e da un penetrante odore di pasta con le sarde. La vita, quando puo’, continua. Qualche volta ti sembra che il tempo si sia fermato: quando senti gli urli dei pescatori che avvistano il passaggio dei tonni, ripensi a Verga e ai suoi Malavoglia: non c’e’ piu’ la barca “Provvidenza” di Padron ‘Ntoni, quelli di Aci Trezza se ne debbono sempre andare “pel mondo, il quale e’ tanto grande” e soltanto il mare “par la voce di un amico”, e i vecchi marinai, come il leggendario Achab, inseguono sempre Moby Dick, la mitica balena bianca, che puo’ anche avere la coda biforcuta del tonno.

 

Ha scritto Leonardo Sciascia: “Forse tutta l’Italia sta diventando la Sicilia”. Penso a Tangentopoli, e al capitano Bellodi, il protagonista di Il giorno della civetta che ragiona su quello che si dovrebbe fare per battere la mafia: “Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche: mettere mani esperte nelle contabilita’, generalmente a doppio fondo, delle grandi e piccole aziende, revisionare i catasti”. Come era intelligente Leonardo Sciascia, e come sapeva leggere la cronaca e anche prevederla.

 

Chi sono i siciliani? C’e’ un ritrattino tracciato dal messinese Scipio di Castro, negli Avvertimenti (seconda meta’ del secolo XVI), un bel volume pubblicato dalla benemerita Elvira Sellerio: “La loro natura e’ composta da due estremi, perche’ sono sommamente timidi mentre trattano gli affari propri e di una incredibile temerarieta’ dove si tratta del maneggio pubblico”. Ma per tratteggiare un attendibile profilo e’ opportuno aggiornare i giudizi. Pirandello: “Una istintiva paura della vita”, ovvero la propensione al dubbio; Brancati, ovvero l’ossessione del sesso: “I sogni e la mente e i discorsi e il sangue stesso perpetuamente abitato dalla donna”; Sciascia, ovvero l’individualismo: “Ognuno e’ e si fa isola a se”.

 

Ogni tanto qualcuno scompare: in un anno contarono 33 persone sparite nel nulla: cemento, sotto le foglie marce di un bosco, in fondo al mare. Contarono anche cinquanta omicidi, uno dietro l’altro, inesorabili. Mi spiego’ un medico legale: “Ti rimane dentro e ti segue l’urlo, il pianto dei parenti. Disperato anche quello delle mogli o delle madri degli assassini; qualcosa di ancestrale”. Gridano dappertutto le donne, che siedono sui gradini, davanti al portone, coi bambini che corrono attorno, o guardano silenziosi e stupiti quella costernazione. Del resto nei quartieri poveri giocano alla polizia, e sanno come finiscono le vittime del kalashnikov. Come cambiano le storie di questo paese. Quanto tempo e’ passato da quando il cardinale di Palermo, Ruffini, protestava con Paolo VI con uno sdegnato messaggio: “La mafia non esiste. Mi meraviglio che in Vaticano ci credano. Come in Alto Adige salta qualche traliccio, qui a Palermo c’e’ qualche morto”. Il suo successore Pappalardo ando’ a celebrare il sacrificio dell’altare all’Ucciardone; le sue omelie contro gli “uomini d’onore” non erano piaciute. Solo il direttore e le guardie ascoltarono quella preghiera. La messa, per i detenuti, era finita. Che caratteri. Assomigliano all’Etna, il grande vulcano: che i catanesi hanno saputo affrontare nei secoli, senza mai piegarsi alla crudelta’ della natura. Piu’ complicato combattere quelle della politica.

 

Un giorno arrivo’ anche la mafia: lo rivelo’ un giornalista coraggioso, Giuseppe Fava, e lo ammazzarono. Catania non era piu’ la Milano del Sud, anche se quattro cavalieri che avevano portato l’industria erano diventati famosi: Costanzo, Rendo, Graci e Finocchiaro. Comandava, dietro le quinte, Nitto Santapaola. E la Catania ironica di Brancati era diventata torva. Da Roma smisero di mandare tanti soldi e fini’ anche l’epoca d’oro degli appalti: dilaga la disoccupazione (davano lavoro a quasi ventimila persone), e finisce in tribunale la grande abbuffata. Adesso si punta alla ripresa: l’Universita’ ha piu’ di 50 mila iscritti. All’avanguardia nella microelettronica guidata da Pasquale Pistorio, che il Financial Times considera uno dei cinque migliori manager internazionali. Resiste il prestigio del Teatro Massimo e l’amore per quello di prosa: che vanta i nomi di Angelo Musco, Giovanni Grasso e Turi Ferro. Poi ci sono i quartieri degradati, ma tutti si ritrovano, nelle piazze e per le vie, per celebrare Sant’Agata, la patrona della citta’, tra fuochi pirotecnici che si spengono nel mare, e processioni fastose, tripudio di ori e argenti attorno alle venerate reliquie. Sono andato a trovare, nella sua casa sulle pendici dell’Etna, un famoso personaggio dello spettacolo, Franco Battiato, cantante e musicista: “Sono per natura un contemplativo. I profumi, l’aria, sono per me come il telecomando che spegne il mondo. Chi e’ un siciliano? Una specie di sintesi di storie che ci hanno preceduto. Non c’e’ una razza. Esiste il non fare dei siciliani, quello che abbassa e non alza”.

 

Ho fatto visita a Francesco Alliata, principe di Villafranca, che appartiene a una delle piu’ antiche famiglie italiane: e’ l’inventore delle riprese cinematografiche subacquee, ma e’ anche un bravo imprenditore: ha lanciato, col marchio Duca di Salaparuta, sorbetti di agrumi che hanno invaso anche i supermercati americani. Padre di Vittoria, scrittrice e islamista, e zio di Dacia Maraini. Produsse il film Vulcano, la risposta di Anna Magnani a Roberto Rossellini, il traditore che l’aveva piantata per Ingrid Bergman, e a Stromboli girava una storia d’amore tra la diva nordica e un bruno pescatore. Il principe non crede che l’aristocrazia oggi abbia un qualche peso, anzi: ” E’ stata considerata come una razza squalificata, da ignorare e da abbattere. Del passato, con le sue tradizioni, rimangono esempi, suggerimenti e desideri. Restano le straordinarie vestigia del potere che hanno lasciato i nostri avi; ad esempio i grandi palazzi e le grandi ville della Sicilia che sono un patrimonio di inestimabile valore architettonico e culturale”.

 

Gli ho chiesto se il principe di Salina del Gattopardo rappresenta gia’ la crisi di una certa societa’: ” + un argomento molto triste, perche’ ha generalizzato qualcosa che pure esiste: questa specie di fatalismo, il senso della distruzione di una stirpe, di un periodo. Ma e’ prevalentemente un’impressione letteraria. Tanta gente del nostro ceto, non avendo piu’ i mezzi economici e politici che aveva una volta, si da’ un grande da fare. Chi riesce e chi non riesce: come capita in tutte le classi sociali”. Come e’ che ogni tanto riaffiorano nostalgie borboniche? “Ma e’ giusto che ci siano, perche’ la storia la fa chi vince. Vinsero i Savoia, e non voglio fare nessun attacco, sono stato anche per brevi periodi, durante la guerra, ufficiale di ordinanza di re Vittorio Emanuele III e del principe Umberto.

 

“I Borboni crearono un regno di straordinaria opulenza per quel tempo, di eccezionale organizzazione. Mentre i piemontesi arrivarono e colonizzarono, a modo loro, il Sud. “Ma non c’e’ piu’ spazio per la nostalgia di un certo mondo. Ognuno vale per quello che e’. Uno dei motti della nostra famiglia e’: “Principem esse quam viveri”, bisogna essere principi e non sembrarlo. “La Sicilia ha delle straordinarie capacita’, delle potenzialita’ umane ancora sconosciute, ma purtroppo non sono state valorizzate in nessuna maniera. Per me la Sicilia e’ tutto. + la mia vita. Vi sono tornato. La grande tragedia e’ che i nostri figli e i nipoti vanno via perche’ non c’e’ spazio per loro. E non tornano piu”. Il successo e’ arrivato anche per Andrea Camilleri, e’ in testa alla lista dei “best seller” con quattro o cinque titoli di romanzi. Mai visto. Dopo vent’anni il suo commissario Montalbano e’ diventato popolare. Mi fa piacere per lui e per Elvira Sellerio che ha creduto in quel riservato e composto sceneggiatore e regista televisivo che, a 75 anni, vede riconosciuto il suo talento. Da mezzo secolo vive e lavora a Roma, ma gli e’ rimasto l’accento degli agrigentini. + un’altra scoperta di Sciascia. Dice infatti: “Siciliano e’ Sciascia. E un siciliano e’ anche Vittorini. Parlo dei due esempi: dei siciliani di scoglio, quelli che rimangono attaccati, anche se per un po’ si allontanano, e quelli di mare aperto, come era Vittorini.

 

“C’e’ un film famosissimo di qualche tempo fa, nel quale un maresciallo dei carabinieri, stufo di certe situazioni nelle quali si trova coinvolto, sulla carta geografica che rappresenta l’Italia con la Sicilia e la Sardegna, mette una mano sulla Sicilia, quasi a nasconderla. “Assistevo a questo film al mio paese e uno accanto a me disse: “Attento, ca l’Italia sciddica”. Voleva dire: se levi la Sicilia, l’Italia se ne viene giu”. Dico una mia opinione: credo che i siciliani siano tra i piu’ gentili tra gli italiani. Penso che non baratterei il maestro Sciascia col maestro di Vigevano, e hanno dato tanta intelligenza all’Italia. Che cosa li distingue? “Per quanto possa sembrare un po’ strano dirlo, la lealta’, il senso dell’amicizia, e soprattutto la voglia di capire gli altri”. E allora, come si spiega la mafia? ” E’ stato un sistema di protezione reciproca, di difesa, che poi ha degenerato, fino ad arrivare a una delinquenza pura. Un sistema di interessi”. Il suo linguaggio e’ singolare e colorito come le sue pantagrueliche descrizioni: la Sicilia come una festa. Cosa compera il poliziotto Montalbano al caffe’ Albanese, dove facevano i migliori dolci di Vigata? “Venti cannoli appena fatti, dieci chili tra tetu’, taralli, biscotti regina, mostazzoli di Palermo, dolci di Riposto, frutti di martorana e, a coronamento, una coloratissima cassata di cinque chili”. E come la signora Franca gli “conza” una “tannicchia” di pane di frumento? Come glielo “conzava” la nonna, quando era “picciriddu”. “Con olio d’oliva, sale, pepe nero e pecorino”. Andava mangiato sotto il sole, “senza pensare a niente”. “L’ironia” ha detto Camilleri “e’ l’unico modo sincero per raccontare la Sicilia”. Brancati lo aveva capito benissimo, e pensava che la felicita’ e’ la ragione, che anche Sciascia apprezzava, ma con scetticismo.

 

L’esempio e’ Pirandello, il padre di tutti.