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07/04/2012 17:47

Piace il nuovo Dramma Sacro di Vittoria

Diretto da Massimo Leggio

di Redazione

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Dramma Sacro 2012
Dramma Sacro 2012

Vittoia – Chi è lassù sulla croce? È Gesù, è il Nazareno. È il “figlio dell’uomo” risponde Kahlil Gibran. Egli è stato bambino, figlio, nipote. È stato l’amico. È stato il maestro. E adesso lo sappiamo.

Lo sappiamo prima della disputa. Prima dell’apparire di Nicodemo, di Giovanni, di Nizech, di Misandro, di Maddalena, di Maria. Prima di ascoltare quegli ottocenteschi endecasillabi di Alfonso Ricca, liturgia e preghiera del Dramma Sacro, “I Parti”, scopriamo che lì, sul Golgota, crocifisso, c’è un uomo inchiodato alla croce da altri uomini. Come restare indifferenti? Impossibile non ripiegarsi su se stessi, commuoversi, e piangere, sentire  in quelle testimonianze, di chi lo ha visto nascere, di chi lo ha visto crescere, diventare bambino, poi uomo, di chi lo ha conosciuto e  poi seguito, e poi ancora amato. E di chi avrebbe anche voluto essere amato, di un amore esclusivo. Confessa Giuda, prima di impiccarsi. Massimo Leggio, sulle scenografie di Rosalba Amorelli, che riproducono una vegetazione scarna e desolante, dunque, affida a Gibran il racconto del “figlio dell’uomo”. Leggio si è voluto occupare personalmente delle scelte musicali. Nella partitura del Dramma Sacro 2012, per il prologo tratto da Gibran, ha usato le composizioni di John Dabney, presenti nella “passione di Cristo” di Mel Gibson. Ma ha inserito anche le sonorità del Peter Gabriel de “L’ultima tentazione di Cristo” di Martin Scorsese e il “The Prayer Cycle”, firmato da autori vari. Per la disputa sui versi di Ricca, l’attore-regista ha scelto Stravinsky e Mozart.

Quanto alla parola: quella di Gibran è sorprendentemente poetica. Eppure prosastica. Ridotta all’essenziale. Bene ha fatto Leggio a presentarla così, nella sua estrema scarnificazione. Non aggiungendo orpelli. Già. “Perché l’umanità di Dio non ne ha bisogno”, chiosa il regista Gianni Battaglia, seguendo da spettatore la Sacra Rappresentazione.  Perché, aggiungeremmo, l’umanità è nuda. Non richiede altro che se stessa. E se Gesù è  Dio diventato uomo. L’uomo aspira a Dio. Per fuggire alla sua finitezza di atomo, corpuscolo, e pulviscolo si annega nella pienezza dell’Uno. Una tensione di sempre. Racchiusa anche nella laicità dei filosofi greci. E Leggio sceglie le “scale” per simboleggiare la tensione, per spiegare quel sentimento ascensionale, quell’infinita aspirazione dell’uomo. E, forse,  salendo gradino dopo gradino, quella scala, potrà trovare pace alle sue inquietudini. Poi, l’arrivo emozionante ed emozionato di Maria, seguita da Maddalena. Gibran “termina” lì. Ora “comincia” Ricca. Ma adesso sappiamo cosa sta accadendo. Adesso sappiamo chi è là, sulla Croce, ormai morente, e sarà ancora tormentato e straziato da quella disputa, da quella “contesa” tra il potere del tempio e del governo.

Infine il rito. La deposizione dalla Croce. Il corpo di Gesù, adagiato su Maria, viene sceso giù dalla Croce. I tempi dell’actio scenica e del presente si confondono, si mescolano. Il “climax” dell’umanizzazione sale altissimo quando il corteo funebre composto da Maria, Maddalena, Giovanni, Giuseppe si fa largo tra la folla vera degli spettatori. Già, una folla. Di spettatori e fedeli. Che hanno “sentito” la Passione di Gesù. E hanno assistito, con grande emozione, eppure silenziosa, al riuscito Dramma Sacro firmato, per il secondo anno consecutivo, da Massimo Leggio.