Per lo Stato italiano non erano sposati. Colpa del prete che ha dimenticato la trascrizione
di Redazione

Messina – Il parroco «distratto», la donna che si credeva sposata (ma non lo era) e il presunto marito che coglie la palla al balzo. La surreale vicenda comincia nel santuario della Madonna di Montalto a Messina. Loredana Mirci e Giuseppe D’Agostino si sposano: matrimonio concordatario. Don Lorenzo ad accoglierli, «vuoi tu ..», qualche adempimento burocratico e si parte con la vita coniugale.
Loredana e Giuseppe reggono più o meno un anno poi decidono di separarsi. Avviano le pratiche e fanno una clamorosa scoperta: per lo Stato italiano non sono marito e moglie, non lo sono mai stati. Nozze fantasma? Che cosa è successo? Il parroco aveva «soltanto» dimenticato di trascrivere l’atto nei registri dello stato civile. Cioè il fondamentale adempimento per cui il matrimonio religioso celebrato da un ministro di culto produce effetti civili e legali. Aveva tempo 5 giorni il don, a quel punto è passato più di un anno.
La soluzione c’è: effettuare una trascrizione tardiva, con la firma di entrambi i «quasi» coniugi. E così una volta tardivamente «coniugati», possono procedere con la separazione giudiziale e rimediare allo «scherzo» del parroco. Loredana, tra l’altro, in vista del matrimonio aveva sostenuto spese rilevanti tra mobili, cerimonia, bomboniere e viaggio di nozze tanto che aveva chiesto due finanziamenti per 66.150 euro complessivi. Il nodo è qui, è evidente.
Ma per Giuseppe questa trascrizione tardiva non s’ha da fare. E non firma. Perché – avrà pensato – dovrei dare efficacia legale a un’unione già fallita solo per poterla annullare? Chiusa la parentesi sentimentale, i soldi si prendono la scena. E Loredana non molla, anzi.
Porta in tribunale il quasi-marito, don Lorenzo e anche la curia Arcivescovile di Messina. Chiede che tutti siano condannati in solido al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, subiti per la mancata trascrizione del matrimonio concordatario. Quando arriva la sentenza del tribunale, nel 2019, sono passati 10 anni dalle nozze nel santuario di S. Maria di Montalto ma ce ne vorranno altri sei prima che Loredana plachi la sua ira.
Il tribunale infatti respinge il ricorso della donna sostenendo, tra l’altro che quella di Giuseppe, «non appariva condotta illecita fonte di responsabilità». L’appello conferma, sottolineando come sull’ex non gravasse «alcun obbligo giuridico – semmai soltanto morale – di prestare il proprio consenso alla trascrizione tardiva». E inoltre, escludendo la corresponsabilità del parroco smemorato, il giudice d’appello ha rilevato che la signora «non aveva dato prova di danni patiti» e comunque «l’omessa trascrizione non impedisce autonoma e diversa azione nei confronti» dell’ex compagno «per la restituzione degli arredi».
Si sa poco o nulla dei due mancati sposi: chi siano, cosa facciano. Da quel poco che emerge al di fuori delle carte giudiziarie sappiamo che la coppia, senza figli, era andata a vivere nella casa di lui arredata con i mobili acquistati da lei con il mutuo. Con la separazione lei se n’è andata di casa ma i mobili sono rimasti. Tenace, la signora va in Cassazione e si arriva così all’ordinanza del 2 settembre scorso, 15 anni dopo il fatidico «sì» e la fatale amnesia del parroco. Ma la Suprema corte respinge il ricorso di Loredana contro la sentenza d’appello dichiarandolo «inammissibile», e chiude la partita. Giuseppe si è mai costituito nei tre gradi di giudizio.
Alberto Ciccone, avvocato di Loredana, è chiaramente deluso per l’esito del ricorso in Cassazione, dopo 15 anni di iniziative giudiziarie. «Noi chiedevamo i danni da violazione di promessa di matrimonio» e agli atti c’era anche la pec di un legale che per conto di Giuseppe dichiarava la disponibilità a rimborsare il 50% dei costi «ma la Cassazione dice che non c’è prova che l’avvocato avesse un mandato dal suo cliente…». Loredana da quanto si apprende non si è più risposata mentre di Giuseppe non si trovano tracce.
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