Intervento del dottor Maurizio Savà, biologo nutrizionista
di Redazione

Circa un anno fa, su queste stesse pagine, conclusi un mio articolo con le seguenti parole: “Credere che una dieta sia una pura e semplice privazione è un concetto superficiale ed errato: si può e si deve mangiare un po’ di tutto ed è solo così che si possono gustare a vita le cose che più ci piacciono! Basterebbe poco per non commettere errori”.
E’ però notizia di questi giorni che l’attuale ministro della salute abbia stilato una bozza di lavoro in cui, fra le altre cose, è in valutazione l’ipotesi di introdurre una tassa su alcol e cibo spazzatura (junk food) per finanziare la sanità (costruzione e ammodernamento di ospedali). Evidentemente, a parte la cattiva congiuntura economica e quindi la necessità da parte dello Stato di reperire denaro, il condizionale che usavo, cioè “basterebbe”, risultava opportuno: nella realtà dei fatti mi pare proprio che sia molto facile che vengano commessi errori alimentari.
Il cibo spazzatura è l’insieme di tutti quegli alimenti o bevande ad alto contenuto calorico, ricchi di zuccheri e grassi nocivi, di conservanti e coloranti, eccessivamente salati o dolci. E’ impossibile stilare un elenco di questi cibi, ma chiunque è in grado di riconoscerli. E la definizione che serve a nominarli (cibi spazzatura) denota evidentemente che il loro consumo non può far altro che male alla salute, e che sia in relazione allo sviluppo di diverse patologie, fra le quali, in particolare, l’obesità, il diabete e le cardiopatie.
Due considerazioni su tutte. La prima è che già in altre parti del mondo sono state introdotte maggiorazioni di prezzo per i cibi malsani. A titolo di esempio, in USA esiste una “soda tax” sulle bevande gassate, e in Danimarca costano di più gli alimenti ricchi di grassi saturi. La seconda è che in Italia, secondo i dati raccolti dal sistema di sorveglianza “PASSI” dell’Istituto Superiore di Sanità (2008), il 42% della popolazione adulta è in sovrappeso o obesa. E non mancano pubblicazioni ufficiali che prendono in considerazione i dati relativi ai bambini e agli adolescenti, nonché le previsioni per il futuro.
Sul fatto che il consumo del cosiddetto cibo spazzatura sia causa di patologia, dunque, si è già scritto. Rimane da chiedersi se sia effettivamente una questione da affrontare anche dal punto di vista economico. Secondo autorevoli economisti, sì. Anche l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha pubblicato dei rapporti in cui l’obesità è considerata una vera e propria epidemia di notevole impatto economico (la spesa sanitaria per una persona obesa è superiore del 25% rispetto a quella per una persona con peso normale). Secondo autorevoli “ricercatori per gli alimenti e la nutrizione”, invece no. La tassa potrebbe essere solo una “extrema ratio” perché “il cibo spazzatura non costituisce una parte importante dell’apporto calorico globale della nostra società (meno del 5% delle calorie totali) e perché l’obesità è un problema di educazione alimentare e di esercizio fisico”.
Sull’argomento incombono insomma punti di vista discordanti: forse vi sono troppi interessi economici in ballo. Da un lato, volendo mettere da parte discipline relativamente attendibili e volendo fare affidamento a quanto la ricerca nel campo della medicina produce, riporto le conclusioni di un recente studio pubblicato su Human Brain Mapping, una importante rivista di neuroimmagini. Gli autori attribuiscono al sovrappeso effetti anche sull’efficienza cognitiva. Stando a tutta una serie di immagini ottenute tramite una sorta di risonanza magnetica, sostengono che sovrappeso e obesità sono associati a deficit cognitivi. In particolare un indice di massa corporea (IMC) più elevato, in soggetti anziani, è stato associato ad un volume inferiore del cervello. Dall’altro, basandoci sulla semplice constatazione di come ci si sente dopo una mangiata eccessiva e di come ci si sente dopo aver perseguito invece un regime alimentare corretto, possiamo trarre da soli le dovute conclusioni.
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