Il monodose Usa già tagliato e il mistero dell’accordo sul siero di Putin: Ema e Cremlino ai ferri corti
di Giuseppe Gaetano

Roma – Johnson & Johnson ha comunicato all’Ue che potrebbe non rispettare l’approvvigionamento delle 55 milioni di dosi del suo vaccino anti Covid previste nel secondo trimestre dell’anno, cioè entro giugno. Quello delle forniture dev’essere un problema di sistema globale se, dopo tutte le altre, anche la casa farmaceutica del New Jersey ritira la mano, in questo caso prima ancora che giunga l’ok dell’Ema (in programma domani) e poi quello dell’Aifa italiana. Non è chiara l’entità del taglio ai complessivi 200 milioni di dosi che l’azienda statunitense s’era impegnata a far sbarcare in Europa nel corso del 2021, ma il primo passo è stato falso. L’annunciata difficoltà nel reperimento dei componenti del siero denuncia che l’intoppo è a monte, nella produzione stessa dell’antidoto e non nella sua distribuzione. Le prime consegne del vaccino americano, che richiede una sola dose, non cominceranno comunque prima di aprile. Poi c’è il russo Sputnik, e qui la situazione è ancora più contorta.
La Camera di commercio italorussa, in una nota ufficiale pubblicata sul suo sito internet, ha comunicato ieri pomeriggio l’intesa raggiunta tra il fondo governativo di Mosca e la società Adienne Pharma&Biotech per la realizzazione dello Sputnik V in Italia, “siglando il primo contratto europeo per la produzione locale del vaccino” di Vladimir Putin. Di accordo locale, infatti, si tratta: il siero sarà creato a partire da luglio nella sede della Adienne a Caponago, vicino a Monza, ma il Pirellone ha subito messo in chiaro in un comunicato di aver appreso solo indirettamente e dai media dell’affare andato in porto, sottolineando la propria totale estraneità su un contratto che “risulta esclusivamente di profilo di diritto privato tra i contraenti”. La specifica è arrivata appena qualche minuto dopo l’imbarazzante post su Twitter con cui il governatore lombardo Attilio Fontana salutava entusiasta “una notizia positiva”, con tanto di punto esclamativo finale. Del resto, in quanto istituzione statale, suo malgrado la Regione non avrebbe potuto firmare un bel niente: la campagna vaccinale resta infatti, strettamente e opportunamente regolata dal governo nazionale.
La sortita sembra però spalancare, all’improvviso, la fattibilità di trattative bilaterali ed esclusive tra le multinazionali del farmaco e le industrie del territorio. Uno scenario del genere, al momento, apre a un semplice punto di produzione sul territorio nazionale di fiale Sputnik da esportare all’estero, nella cinquantina di stati in cui è somministrato. Quali che siano le modalità di commercializzazione restano sempre necessarie le autorizzazioni Ema e Aifa, anche nell’improbabile eventualità che la sua vendita fosse rivolta a terzi. E qui i russi registrano purtroppo una malcelata ostilità nei confronti di prodotti non “occidentali” da parte delle autorità sanitarie del vecchio continente, accusate apertamente di soffrire di condizionamenti e intromissioni di carattere politico nei tempi: “Gli europei meritano una revisione imparziale dello Sputnik V – scrive il Cremlino -, dopo averla rimandata per mesi l’Ema non ha il diritto di minare la credibilità di altri 46 regolatori che hanno esaminato tutti i dati necessari”.
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