«Altri due dischi e farò un figlio. E la cantantessa finirà»
di Giuseppe Attardi

Puntalazzo – Si chiama monocordo. E’ uno strumento antico, dell’Ottocento. Per metà sembra un violino, per l’altra una pianola. Può suonare come un violino, ma anche come un violoncello o una viola.
«E’ il mio campionatore d’archi», scherza Carmen Consoli in maglietta rossazzurra con il 9 di Corona, centravanti che militò nel Catania nella stagione 2006/2007, e pantaloncini alla fine delle consuete due ore di corsa mattutina. Il monocordo l’ha acquistato in Francia e adesso medita di farlo riprodurre in serie a qualche liutaio catanese per portarlo in tour.
Carmen è come il vulcano sotto il quale è cresciuta e sul quale ha voluto creare l’ultimo avamposto della creatività e del salutismo. «Oggi produco il mio olio, faccio il pane in casa con la farina integrale, ho la mia frutta di stagione».
Non c’è più l’albero di ciliegie, quello della canzone di Masino.
«E’ morto insieme con mio papà», ricorda mentre gli occhi le diventano lucidi.
Trattiene a stento le lacrime ricordando il padre, scomparso l’anno scorso, e del quale sente la mancanza: «L’avrei voluto forte e vivo come mio nonno materno Ferruccio che a 97 anni è ancora una roccia».
Qui, sulle falde dell’Etna, Carmen ogni sera accoglie amici e artisti attorno al suo caminetto culturale.
Vorrebbe trasformare il casolare in una factory. Al piano di sotto provano i Lautari, nella sala («analogica», sottolinea lei) registra Alfio Antico.
«Ma da qui passano anche ballerini, attori, registi, abbiamo composto colonne sonore, stiamo anche costruendo un teatro, vogliamo diventare un laboratorio di talenti. E lo facciamo gratis per la città».
Un avamposto che la “cantantessa” vuole proteggere dal dilagare della tecnologia e della realtà virtuale: «Il digitale non suda, diceva B.B. King. Ho trovato le mie vecchie chitarre ammuffite, così tanto avevano assorbito il mio sudore. Nella mia musica mi servo pochissimo dell’elettronica, altrimenti perderei tutto quel processo mio di odori, viaggi, sensazioni, sapori, costruzioni che faccio per avere l’ispirazione».
E’ amareggiata. Dalla realtà che la circonda, dalla politica dell’industria discografica e delle radio che hanno orecchie soltanto per gli effimeri e banali prodotti dei talent show, per le istituzioni che tagliano i fondi alla cultura, che non supportano le iniziative coraggiose, per una società basata sul gossip e su giudizi affrettati.
Ormai cresciuta, Carmen Consoli ha imparato a pesare bene ogni cosa, ad apprezzare le forme del vivere come specchio dell’anima. La vita che racconta sembra un incastro prezioso, senza sprechi e al centro campeggia enorme il culto della musica.
A Puntalazzo, nella campagna di Sant’Alfio, ritrova i ricordi, i sogni, le aspirazioni, gli amici di vita e d’arte, canoni di vita più a portata di uomo.
«Le nuove generazioni hanno perso tutti i sensi, il tatto, l’olfatto, il profumo di un libro, il contatto con il vinile – s’infervora – La gente ormai si chiude nelle stanzette a chattare. I social network sono agghiaccianti, i ragazzini non fanno più distinzione fra realtà e finzione. Nella musica, nel cinema, si è perso il confine tra tecnologia e arte. Io forse sarò anacronistica, ma mi piacciono ancora i cartoni animati e al cinema ammiro Robert De Niro non un Avatar. Una volta gli ignoranti stavano zitti, oggi con la falsa democrazia delle società virtuali, tutti sono abituati a pontificare, c’è la “sindrome triccani” diceva mia padre, tutti sono tuttologi, dilaga la maleducazione. E tutti si sentono autorizzati a comportarsi nella realtà come fanno nei social network. Io preferisco il dialogo, filosofare davanti al cibo. Quando ospito i figli dei mei amici gli do la Wii, ma poi si divertono di più quando sono io a creare i giochi o con il calcio balilla, con il tiro delle freccette sui bicchierini».
Si diverte quando la casa si riempie di bambini.
«La maternità è bellissima, come minimo farò tre figli e comincerò l’anno prossimo. Ammiro Gianna Nannini, dimostra che a 50 anni la vita può ricominciare, anche per una donna. Sarà una mamma meravigliosa. Lei ha un fisico superallenato, biologicamente è una trentenne. E’ una donna posata, colta, allegra. Il bambino sarà fortunato. Dal prossimo anno potrei pensarci e quando diventerò mamma finirà Carmen Consoli, perché non mi fermerò a uno. E poi i bambini, la famiglia, si devono seguire.
La mia carriera non mi ha permesso di fare figli prima, il mio contratto mi vincola ancora a due dischi. Io adesso consegno il mio best e un altro album di inediti, dopodiché farò la vita di tutte le donne, perché me lo merito».
La festa di compleanno
Taormina. E’ appena scoccata la mezzanotte. Il pubblico intona ancora “tanti auguri”. Carmen Consoli e Massimo Roccaforte restano soli sul palcoscenico. Chitarra acustica a tracollo, lei. Elettrica, lui. «Massimo è l’amico di sempre con cui ho festeggiato tanti compleanni, così sul palco», racconta lei.
Il teatro antico di Taormina, d’un tratto, sembra rimpicciolirsi e trasformarsi nel caminetto della casa di Puntalazzo. Cala un’atmosfera, intima, delicata. E oltre tremila spettatori si uniscono alla voce di Carmen per cantare assieme Quello che sento e Amore di plastica.
E’ il momento conclusivo di una lunga festa di compleanno ben riuscita, che ha divertito grandi e piccini. Un “evento unico”, nove anni dopo quell’L’anfiteatro e la bambina impertinenteimmortalato su un cd-dvd. Un appuntamento che ha richiamato fan perfino da Bratislava, da dove è partito venerdì Isidoro Salvatore Valente, giovane e girovago ingegnere elettronico catanese, innamoratosi della sua fidanzata sulle note di Blu notte: avrebbe voluto finalmente stringere la mano al suo idolo, si è accontentato di una foto con la mamma di Carmen.
Uno spettacolo di quasi tre ore di canzoni, poesie, racconti, sketch, emozioni con cui ancora una volta la “cantantessa” ha stupito, sorpreso, spiazzato.
Stakanovista dei concerti (ieri era ad Ancona e oggi sarà al teatro di Verdura di Palermo), Carmen Consoli ogni sera cambia scaletta, riarrangia canzoni, inserisce qualcosa di diverso: si avverte il desiderio di rinnovarsi continuamente, di sperimentare sonorità, di incrociare la musiche con altre arti.
Perché Carmen, a 36 anni, non è più soltanto la “cantantessa”, è un’autrice geniale e anticonformista, in grado di muoversi in territori musicali e artistici diversi, è una cantante che interpreta con passione melodie molto raffinate ed è una musicista che compone con intelligenza, senza mai cadere nell’ovvietà, toccando tutte le corde: ironica, sarcastica, rabbiosa, dolce, aggressiva, sensuale.
Tanti sono stati i momenti magici della serata. Dall’iniziale botta al cuore con Col nome giusto, sottolineata dagli archi di un giovane sestetto e dai richiami alla Lontananza di Domenico Modugno, con Carmen vestita tutta in nero che sembrava una reginetta della canzone d’altri tempi (complice anche il luccicante cerchietto che le fermava i ribelli capelli ricci). Straordinaria la rilettura diAutunno dolciastro con il semplice ma intenso sottofondo del piano a coda di Andrea Pesce. Un capolavoro la nuova versione di Eco di sirene, quasi una moderna opera melodrammatica, con l’alternarsi di momenti dark e lampi elettrici, e una voce roca e ferita, cupa e profonda, sospirata e rabbiosa, lamento d’anima straziata che mantiene, in un equilibrio che ha del miracoloso, il senso più profondo della musica, che è ritmo, melodicità, mood e qualcos’altro di indefinibile.
Divertente il duetto con il “tamburo parlante” Alfio Antico, che ha presentato in anteprima Guten morgen, un brano del nuovo disco che uscirà in autunno e che, prendendo spunto da un fatto di cronaca, mette faccia a faccia un pescatore catanese e una turista tedesca su usi, costumi e merce della Pescheria. Trascinante ‘A finestra che fa ribollire e scattare in piedi la cavea taorminese come i teatri “lumbàrd”.
In una scaletta che racchiudeva gran parte (ma non tutti) dei suoi brani più popolari e dalla quale sembra essere uscito l’album Eva contro Eva(riproposto soltanto Il pendio dell’abbandono), incastonate alcune perle letterarie recitate da Mariella Lo Giudice e la “chicca” del duetto, sul filo del sorriso, con Franco Battiato con le toccanti e nostalgiche note di Te lo leggo negli occhi, canzone lanciata da Dino nel 1964.
In uno scenario musicale nazionale in cui l’industria discografica punta a estrarre Tavernello dai talent show, sabato sera a Taormina abbiamo brindato con un Sassicaia d’annata.
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