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Ispica, la Maria terrena di Giuseppe Gianì e i versi di Alda Merini FOTO

Il ciclo "Piena di Luce" del pittore ragusano, alla "luce" della poetessa milanese



 Ispica - Proponiamo di seguito una suggestiva interpretazione della scrittrice ispicese Evelina Barone, pubblicata su Repubblica, dei 12 pannelli raffiguranti la vita di Maria e realizzati dal pittore Giuseppe Gianì per decorare la Chiesa delle Madonna delle Grazie di Ispica.

La narrazione del sacro, nella spiritualità cristiano-cattolica, è stata nei secoli affidata all’iconografia. Scene bibliche decorano magnificamente volte e arcate delle nostre chiese. Immagini e simboli, ancor prima che per il loro valoro artistico, erano progettati in vista di una pedagogia dei popoli, un’istruzione agli eventi maggiori della storia sacra. La loro maestosità comunica ancora oggi le vette assolute del divino e l’umana protensione verso di esse. Una vertigine. Narrazioni, quelle bibliche, che hanno attraversato i secoli e si sono adattate agli uomini e alle donne di ogni tempo, perché la lingua sacra è nel tempo, è scheggia di infinito che, come il Cristo, si incarna nella temporalità dei viventi e parla la loro lingua. Lo stesso accade nella rappresentazione iconografica. Le opere di Giuseppe Gianì che fanno parte del ciclo “Piena di Luce” sono un esempio straordinario di un sacro scheggiato nel tempo.

Dodici pannelli raffiguranti la vita di Maria e realizzati per decorare la Chiesa delle Madonna delle Grazie di Ispica, su commissione della Confraternita, con approvazione della Diocesi di Noto e grazie alla generosità di alcune famiglie. Dodici pannelli con i colori della terra, in cui la figura della Madonna emerge da uno sfondo unico, luminoso e caldo, come protagonista di una vicenda tanto divina quanto profondamente umana. Fanno eco allo sguardo dell’artista i versi di Alda Merini: “Io sono soltanto una terra adolescente/ una terra che diventa fiore/ e un fiore che diventa terra/ Perché vergine se io sono madre di tutti?/ Perché madre se sono una vergine senza confini?/ Perché il dubbio atroce della fede?/ Perché questa grande crocifissione amorosa?”. Attraverso i pannelli di Gianì vediamo la Madre di Dio crescere e modificarsi, esprime gioia, presenza assoluta, cura, turbamento, dolore, sin dal momento della sua iniziazione amorosa:

“Mi sono aperta come un libro davanti a Te/ un libro pieno di misure terrestri/ un libro pieno di fiori della giovinezza, Signore… / E ad un tratto Tu sei comparso/ per me, che godevo la tenerezza della mia adolescenza/ per me, che mi sentivo giovane/ e pronta a tutte le battaglie della vita/ per me, che avevo lo scudo della parola”. È una giovane travolta dal mistero, Maria. Porta in sé l’ardore giovanile che è sfida dei canoni del tempo, perché questo è il compito di ogni nuova generazione. È benevolenza e fiducia verso Giuseppe, il suo sposo, che le accarezza la pancia con gesto commosso e amorevole che lo fa già padre dal momento del concepimento. Rompe, così, la retorica su un maschile che maturerà dopo la nascita del figlio il sentire paterno; sovverte il pregiudizio su un maschile sempre inadeguato nell’esprimere le proprie emozioni e la propria capacità di cura.

Ancora una volta, la narrazione di Giuseppe Gianì offre alla Parola l’occasione di scheggiarsi nel tempo che viviamo. La sua Maria accorre da Elisabetta, in pieno spirito di sorellanza: si assomigliano le due donne, lo stesso mantello ricopre le loro spalle, i colori sono quelli della terra che le rende madri e consente loro, a partire dalla loro condizione, una comprensione immediata, una solidarietà ancestrale. Com’è bella Maria quando stringe al petto il figlio appena nato, raccolto in posizione fetale. Sulla propria pelle adagia il figlio, al seno, al cuore. Il cuore di Maria è il nuovo grembo in cui il figlio continuerà ad essere custodito. È donna piena Maria, donna totale, madre tra cielo e terra. È lei che, come una sacerdotessa, presenta il figlio al tempio. Radicata su una lastra che ha la forma dell’inevitabile destino di croce, innalza il figlio al cielo, perché sia ricolmo della luce divina: consegna sé stessa insieme al figlio, qualunque sia il suo destino, ci saranno le mani di lei a sostenerlo.

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Ci sarà Maria a educarlo, ad accompagnare i suoi passi: lei ferma, solida, innamorata del figlio, perseverante e amorevole. Di fronte al destino del Cristo, Maria rimane superba nella sua contrizione, sa che il dolore è del figlio, lei deve essere radice e tronco, sostegno, vicinanza consapevole e silenziosa, sacerdotessa del suo dolore. Una madre sa, riconosce il turbamento e il dolore nel figlio, e rimane. Sanguina, però, Maria, il panneggio rosso della sua veste, al pari di quella del figlio, è materno che sanguina, è ventre squarciato che restituisce alla terra il suo dolore. Si dispera per il dolore radicale, il dolore assoluto della morte del figlio. Un dolore che sconvolge l’anima e stravolge il volto.  Richiama Dio alla sua onnipotenza, lo invoca, lo rimprovera. “Mio figlio/ dorme sulle mie gambe/ Mio figlio/ che non è più vivo/ Misere di me/ o universo… / Miserere di me/ che sono morta con lui”.

Ma poi, nel sepolcro vuoto, mentre stringe il lenzuolo che non copre più il corpo di Cristo, il volto di Maria torna giovane, le lacrime si fermano sulla soglia del mistero, lo sguardo accenna alla gioia e guarda alla speranza. “Egli è vivo/ è vivo/ lo grida la mia carne di madre”. Gioia, speranza e capacità di confidare nel mistero restituiscono giovinezza a Maria. L’anima è questa cosa senza tempo che si agita dentro di noi e l’anima di Maria si è lasciata declinare da ogni umano sentire ed è rimasta viva. Con lo slancio del volo, Maria conquista il suo cielo. Ricomposta nella sua giovinezza, siede sul trono, alle porte del cielo. È la donna completa. L’eterno femminile. Demetra-Kore-Persefone-Maia. Madre, fanciulla, regina, sacerdotessa. Il suo grembo è gravido, è maternità perenne, creazione continua, generatrice instancabile di grazia. “Salutate in lei/ la porta del sorriso beato/ e l’onniscienza futura:/ ella ha previsto tutto/ perché pur non avendo radici/ Maria è la sola radice del mondo”. Grazie al Maestro Giuseppe Gianì per questa restituzione di un sacro che al va al cuore dell’umano.


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