Cultura
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24/08/2008 22:22

Dasvidanjia: Una notte su un gradino, al Pappafico

di Redazione

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La luna, per una mente alticcia come sovente accade in queste umide sere di estate, può essere scambiata per un faretto alogeno posizionato ad una folle altezza da un elettricista bizzarro e perdere i connotati del misterioso e romantico astro che ha ispirato i poeti e gli scrittori di ogni generazione nel creare rime e romanzi in cui l’hanno resa complice di furtivi incontri tra amanti sconsiderati o semplice, muta testimone di struggenti passioni solitarie consumate sulle strade buie di deserte città nordiche.
La luna…uno spettacolo sempre uguale e sempre nuovo, sempre incredibilmente affascinante che ormai da tempo mancava alla mia vista per via delle innumerevoli notti bianche moscovite.
Mi ritrovo seduta su un gradino di uno dei locali più trend della stagione estiva attuale ad osservarla con lo stupore di un bambino che la vede per la prima volta. E sorrido di me stessa.
Ma abbassando lo sguardo dal cielo al suolo propriamente detto e alle cose umane, l’attenzione viene rapita dalle scarpe dei clienti che affollano il “Pappafico”. Quante forme, colori, materiali, intrecci di strisce di cuoio e di stoffa, di fiocchetti e di trine svolazzanti. Fibbie, perline, paillettes e tacchi. Noto che gli uomini, da buoni cacciatori, prediligono la scarpetta sportiva… chissà, per essere più veloci nel rincorrere e raggiungere le loro prede!
In pochi hanno scelto l’infradito, forse i più pigri o quelli già appaiati la cui serata si risolve nel trascinarsi dietro la fidanzata “apparicchiata pe’ festi”!
Eh, sì: anche l’abbigliamento è un dato degno di grande attenzione!
Il bianco troneggia addosso a corpi dall’abbronzatura uniforme; a chi qualche chiletto in più procura un logico imbarazzo, il nero si confà come il cacio sui maccheroni, ma c’è chi non disdegna toni alternativi ai due estremi per eccellenza: dal turchese al verde limone, dall’arancio al giallo paglierino.
E’ un arcobaleno dilatato dalle nuances dei sette colori tradizionali, un sinuoso arcobaleno che avvolge concentricamente, vorticosamente il “Pappafico” e lo rende vivo, palpitante: un solo essere formato da una moltitudine di diversità.
Resto seduta per l’intera serata, e fino a notte fonda, sul mio gradino, privilegiato punto di osservazione. Osservo mani che stringono altre mani per saluti frettolosi e rituali mentre lo stupore che si dipinge improvvisamente su un volto poco prima serioso per allargarsi subito dopo in un gran sorriso e trasformarsi in un vigoroso abbraccio, rivela il ritorno di qualche locale lontano da tempo per motivi di studio o lavoro. Di questa schiera di assenti che ritornano per ora  faccio parte anch’io. E mi inebrio del piacere di rivedere amici che sembravano svaniti nel nulla e che dal nulla riappaiono con un seguito di adorabili mocciosi dai musetti sporchi di cioccolata, di scambiare quattro chiacchiere sui vecchi tempi o di profondermi in racconti sulle terre lontane che abito ormai da un paio d’anni e che hanno uno squisito sapore esotico per chi ascolta.
Questo mi manca incredibilmente a Mosca…mi manca incontrare per caso visi amichevoli e fermarmi a chiedere “Come va?”, la frase di rito che talvolta funge da prologo a conversazioni  lunghe ore ed ore. Ed ore! E’ un piacere perduto, lo confesso.
Non siamo certo abituati all’anonimato noi “paesani”!
“E tua madre? E tuo fratello? Senti, ma tuo cugino si è poi sposato? Che fine ha fatto la fidanzata che avevi lo scorso anno?”; ciarle e sproloqui, gossip inter nos, lamentele sull’amministrazione comunale e sul turismo che scarseggia, sull’euro che ci ha rovinati… i soliti, annosi  discorsi che però, a chi vive una quotidianità radicalmente diversa dove un “buongiorno” è spesso una privilegiata concessione, danno la misura di un’umanità non ancora prosciugata dei sentimenti più genuini. Quel nostro dispiacersi fino alle lacrime per le disgrazie altrui o, perché no? gioirne sadicamente in talune occasioni, è qualcosa che non si trova facilmente in società frettolose come quelle metropolitane. A cui vanno, comunque, attribuiti altri pregi.
Ma l’estate volge al termine, così la notte al “Pappafico”. La gente si dirada lentamente. La musica incalza quasi con stanchezza. Le stesse scarpe che mi erano sfilate davanti all’inizio della serata, tornano sui loro passi inzaccherate di sabbia. Man mano che la gente s’allontana, l’impiantito si rivela un cimitero di bicchieri di plastica, di scorze di arancia masticate e di foglioline di menta appassite, di cannucce, di mozziconi di sigarette.
Raccolgo le mie emozioni, le compatto per bene dentro la stiva dell’anima: mi serviranno a sopravvivere al lungo, gelido inverno russo che lontanissimo non è.
La luna resta impassibile ad osservare lo spettacolo degli umani che tornano a casa dopo una notte che ad ognuno ha riservato una piccola sorpresa: l’incontro con un amico di vecchia data, una nuova conoscenza, un colpo di fulmine, un capogiro dovuto all’ultimo cocktail, un punto in meno sulla patente, una multa da pagare per parcheggio selvaggio.
Poi, quando le luci artificiali si saranno spente del tutto e la musica sarà cessata, anche lei, la candida luna, andrà a dormire da qualche altra parte. 

Dasvidanjia