Economia
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09/02/2021 09:42

Case a 1 euro, in Sicilia è una moda: i nuovi borghi in svendita

Alti costi a carico e contesto di degrado: i due grossi problemi del modello di business immobiliare

di Giuseppe Gaetano

Una vista di Delia, tra gli ultimi comuni ad aver aderito all'iniziativa al ribasso
Una vista di Delia, tra gli ultimi comuni ad aver aderito all'iniziativa al ribasso

 Ragusa – Saranno anche i “borghi più belli d’Italia”, però non vuole viverci nessuno. O meglio, può permettersi di viverci chi è in pensione e ha un buon assegno o un bel gruzzolo da parte per la vecchiaia, oppure i nababbi: industriali del Nord, cantanti e attori stranieri, che si tolgono lo sfizio di comprare un casolare come ottava o nona casa. Perché se costa un euro, vuol dire che per renderlo vivibile tocca aggiungerci almeno 5 zeri. Dopo gli apripista Gangi e Sambuca, l’ultimo borgo siciliano ad aderire in questi giorni al progetto “case a 1 euro” è quello medievale di Troina, del libero consorzio comunale di Enna, di cui ha parlato perfino la Cnn. E infatti, come rivela il sindaco Sebastiano Venezia, le richieste sono arrivate soprattutto dall’estero: dagli Usa alla Turchia, dalla Germania al Brasile, dall’Inghilterra al Perù. “Molti potenziali acquirenti sono già venuti a visitare il Borgo di Troina, con l’intento di acquistare una casa per trasferirvisi in alcuni periodi dell’anno”. Appunto: per gran parte dei 12 mesi queste dimore resteranno comunque vuote e, in assenza di investimenti sull’economia del territorio, i paesini che le ospitano finiranno come teatrini che alzano e abbassano il sipario solo se c’è pubblico in sala, resort esclusivi senza vita vera, propria. Gioiellini perfettamente ristrutturati, ma pur sempre vuoti: un territorio abitato, senza essere vissuto. L’unico vantaggio per il Pil regionale saranno gli spicci in tasca alle maestranze locali, e per i pochi passanti la probabilità di non essere centrati in testa da un cornicione pericolante.

La mappa aggiornata delle cittadine con immobili a 1 euro copre quasi tutta l’Isola: l’arabo-normanna Bivona e Cammarata, nel cuore del Parco dei Monti Sicani, entrambe in provincia di Agrigento; Regalbuto, nell’Ennese; Salemi, vicino Trapani; Mussomeli, in provincia di Caltanisetta; Saponara, nel Messinese. Pure Augusta, nel Siracusano, ha appena aderito all’iniziativa. Covid permettendo in estate a Sambuca dovrebbe partire l’operazione-bis, “case a 2 euro”. S’alza la posta, e stavolta si procederà con la divertente formula dell’asta al rialzo: chissà se prenderanno in considerazione anche i centesimi. Ma di chi sono queste residenze storiche e disabitate, cedute a cifre simboliche? Risponde il sindaco di Delia, nel Nisseno, iscritta anch’essa a fine gennaio nell’elenco delle case in svendita: “Negli anni spesso mi sono trovato a parlare soprattutto con emigrati di prima generazione – spiega Gianfilippo Bancheri – che non potendo più venire a Delia a causa dell’età avanzata, lamentavano il fatto di avere degli immobili che non potevano più utilizzare e sui quali pagavano dei tributi”. Per molti proprietari, quindi, sarebbe meglio rinunciare e disfarsene. Nonostante il bonus 110% che, in qualche caso, poteva dare una mano. Dov’è l’inghippo? In due nodi: gli alti costi di ristrutturazione e la povertà del contesto in cui sono posti questi luoghi. Gli acquirenti hanno una serie di oneri: sostenere tutte le spese degli atti notarili, pagare geometra e architetto per presentare un progetto di recupero, iniziare i lavori entro 2 anni dall’acquisto, stipulare una polizza fideiussoria in favore del Comune. Operai e materiali sono costi fissi: non variano secondo la località ma in base alla grandezza della struttura, spesso importante. Significa ricostruire e mettere interamente a norma facciate, infissi, impianti idrici ed elettrici, a volte le stesse fondamenta.

E tutto nel rispetto dei vincoli urbanistici cui sono sottoposte le abitazioni nei centri storici. Il saldo finale può arrivare a centinaia di migliaia di euro. Poi c’è l’altro problema, il territorio circostante. Se si sono spopolate, un motivo dev’esserci: mancanza di lavoro, servizi, collegamenti, socialità. Quando si viene a visitarli ci si rende conto che la corriera non passa, che gli unici due negozi aperti sono a 20 chilometri, che le barriere architettoniche non sono state abbattute, che dietro la collina c’è una discarica a cielo aperto, che al centralino del municipio non risponde nessuno, che al bar è difficile parlare d’altro che del risultato di San Luca-Licata. Si rendono conto che, oltre la propria casetta, è da ristrutturare anche tutto il contesto che le sta attorno: è un problema anche per i giovani imprenditori che proverebbero a convertire gli immobili in strutture ricettive e ristorative. Dunque da persone non proprio benestanti, per cui è troppo anche solo continuare a pagarci l’Imu, queste case finiscono nei patrimoni immobiliari di ricchi pensionati che tornano nelle contrade natie, se hanno ancora qualche amico o parente, oppure in mano all’artista famoso o al manager che passa l’inverno in una metropoli e trova piacevole un mesetto in isolamento tra canyon, agrumeti e paste ‘ncasciate che ha letto su Montalbano. Non saranno certo quattro vip in visita una volta l’anno a risollevare la depressione economica di questi posti, altrimenti splendidi per architettura e paesaggio, che è stata ed è alla base del loro abbandono.