Lettere in redazione
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22/09/2007 08:35

Lanciato dal ponte e sopravvissuto: Adesso so che l’affetto è nelle sfumature

di Redazione

“Volevo morire perché non ero quello che gli altri volevano che fossi”.
Salvo. Paralizzato, ma vivo.
Gino ha provato a cercarsi senza trovarsi: “Mi sono sentito un involucro vuoto. Ero pieno delle aspettative dei miei genitori, della vita che loro avrebbero voluto che vivessi: io dovevo realizzare tutti i loro fallimenti. Quando ho capito di aver fallito anch’io, mi sono ritrovato solo. A loro non servivo più. E io, a 35 anni, non sapevo chi ero. Concentrato su obiettivi mai raggiunti, non sapevo nemmeno se mi piacevano gli uomini o le donne. Nella mia vita non era incluso l’amore. Veramente, nemmeno l’affetto. Dei miei genitori ricordo solo ordini camuffati da cortesi richieste e i regali canonici: compleanno e Natale. All’improvviso mi sono guardato intorno e il posto più affollato mi sembrava un deserto. Per mesi ho vagato alla ricerca di qualcosa che non conoscevo e che, al colmo della disperazione, ho creduto di trovare in fondo a un ponte. Cercando la morte però, ho trovato la vita. Ho ricostruito il mio passato e mi sono trovato. Adesso so che l’affetto è fatto di gesti e sfumature che possono sfuggire a chi non vuole vederle. Ho attribuito la mia incapacità reattiva ai miei genitori, ai quali non riesco a far dimenticare colpe che non hanno.
Guardo il mondo da seduto. Eppure, inseguo ogni attimo di vita come se corressi. Vedo cosa e chi mi circonda senza il filtro della depressione. E dico, finalmente, grazie a mio padre a mia madre, naturali artefici dell’uomo che sono diventato”.