Economia
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06/03/2015 21:27

L’aquila di Confindustria vola sul petrolio di Eni

Sarebbe questa la “grande” occupazione che ci prospettano per le nuove produzioni?

di Redazione string(0) ""

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Petrolio a Ragusa
Petrolio a Ragusa

Ragusa – Enimed, la società del gruppo Eni che in Sicilia controlla l’estrazione e la produzione di petrolio, in regime, pressappoco, di monopolio, è stata giorni fa in Confindustria Ragusa, per comunicare e illustrare alla platea degli imprenditori Iblei il piano d’investimenti per il nostro territorio.
Il petrolio, vero core business del gruppo Eni, spiegato ai ragusani di Confindustria che con l’oro nero, dai pozzi Gulf del 1954 poi acquisiti da Agip e gestiti fino ai giorni nostri da Eni, convivono da più di settant’anni.
I rappresentanti di Enimed, infatti, come dichiara il Presidente Taverniti, «hanno comunicato che l’Azienda, all’interno del Protocollo di Gela, prevede di effettuare investimenti complessivi pari a 1,8 Miliardi di Euro (su un totale di 2,2 Miliardi Euro) nell’arco di 4 anni per la messa in produzione di nuovi giacimenti di gas, la perforazione di 7 nuovi pozzi esplorativi e il mantenimento dei livelli di produzione dei campi ad olio e gas esistenti ormai maturi, con interventi di ottimizzazione della produzione».
Sono investimenti di un certo calibro quelli sciorinati da Enimed, bisogna ammetterlo e guai a perderli, che riguarderanno, però e soprattutto, l’area industriale di Gela per la riconversione della oramai ex raffineria. La porzione dei due miliardi di euro che spetterebbe a Ragusa rientra nel quid che Confindustria non definisce nel proprio comunicato stampa. In buona sostanza, quel che gli industriali non dicono concernerebbe la mancanza di un vero piano di sviluppo economico e sociale per il territorio ragusano. Proprio come accadde agli albori dei ’50, sul far delle prime esplorazioni petrolifere a Ragusa: euforia per pochi e un pugno di mosche in mano, invece, per tutti.
I ragusani convivono col petrolio, appunto, proprio da settanta suonatissimi anni; ma da separati in casa. E questo occorre dirlo. Ogni ragusano, infatti, sa benissimo che sotto il proprio suolo scorre un fiume nero dal valore economico smisurato. Solo che, come scrisse lo storico Francesco Renda, col petrolio il ragusano ci fa solo «gli sciacqui in bocca e non lo può nemmeno toccare».
Quel petrolio che a Ragusa doveva portare ricchezza in tutte le case c’è stato ieri e c’è tutt’oggi, e sicuramente ce ne sarà ancora da coltivare e sfruttare, ma i ragusani, bontà degli industriali, lo vedono passare solo per strada, incrociando le dozzine e dozzine di autobotti che ogni giorno fanno la spola dai Monti Iblei fino Gela, per finire raffinato non si sa dove.
La ricchezza, dunque, può attendere.
Lo storico Renda, sul petrolio che scorre a Ragusa e passa davanti agli occhi dei ragusani, ci offre pure una metafora verista, scomodando Giovanni Verga: il ragusano, spiegava il professore in un proprio trattato sulla Sicilia degli anni ‘50, viveva il dramma di quel bracciante della Piana di Catania che «col ventre pieno di sola malaria vedeva passare ogni giorno un modernissimo treno con vagone ristorante annesso diretto in continente, con la bella gente seduta comoda a fare colazione».
Il traslato non fu un’esagerazione allora e non lo è, purtroppo, tutt’oggi.
Negli anni cinquanta la Gulf, grazie al petrolio ragusano, portava in cassa più di 16 miliardi di lire l’anno. Un’enormità, per l’epoca. Trecentocinquanta operai occupati e poche bagattelle per il comune di Ragusa, dunque, per i ragusani.
Enimed, oggi, estrae a Ragusa e Gela 7 milioni di barili equivalenti di idrocarburi liquidi e gassosi all’anno. Moderna immensità economica, volendo tradurre l’estrazione di oro nero dai barili dichiarati da Enimed in euro.
Cosa ha ottenuto in cambio il territorio? Quindici o sedici milioni di royalties per l’estrazione petrolifera che, tuttavia, il comune di Ragusa non sa nemmeno spendere per favorire la collettività; anzi, la giunta Piccitto riesce a chiedere anticipi di cassa in consiglio comunale per onorare spese di bilancio.
Avrebbe gridato allo scandalo anche quel bracciante agricolo della Piana di Catania, che di contabilità e finanza doveva saperne ben poco, figlio della fin troppo vera e affamata penna di Verga.
Fiscalità a parte, quindici milioni di euro non sono da buttare, il petrolio per i ragusani potrebbe essere davvero un’opportunità. Enimed, questo Confindustria non lo dice, ma sarà stata un mera e semplice dimenticanza, occupa circa 30 addetti. Eppure di petrolio ne estrae tanto e tanto assai.
Se i giacimenti di Ragusa per capacità produttiva (e fatturato per le compagnie petrolifere) sono secondi in Italia solo al Texas di trivelle installato in Basilicata, un motivo ci sarà, no?
Trenta persone per un mare di petrolio senza fine.
Sarebbe questa la “grande” occupazione che ci prospettano per le nuove produzioni?
Siamo lontani assai dai 350 operai di Gulf, che pure erano pochi rispetto alla ricchezza prodotta nel 1954. Eppure, oggi, a conti fatti e numeri di produzione in mano, potremmo partire proprio dall’occupazione se vogliamo credere, ancora e con forza, al nuovo corso del petrolio estratto a Ragusa: Enimed dia lavoro a 300 giovani ragusani in aggiunta agli occupati attuali, per le nuove installazioni petrolifere.
Solo un piccolo, semplice passo: scambio politico con sussidio generazionale per lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo.
Il Sindaco di Ragusa a tutto questo ci ha mai pensato?
Eni prenda tutto il petrolio possibile, ma si faccia carico di ridare dignità sociale ed economica a un territorio e al suo popolo fortemente strapazzato dalla storia, scosso da movimenti industriali mancati, occupato da una classe dirigente e politica debole, assente.
Questo avrebbe dovuto presentare Enimed in Confindustria Ragusa, ma non l’ha fatto e, forse, mai lo farà. Ed è per questo che il rapace, contrassegnato nel logo degli industriali italiani, ha già preso il volo sul petrolio ragusano di Eni. Perché, come disse con estrema semplicità poetica uno scrittore ben avviato nella letteratura latina di qualche secolo fa: Aquila non captat muscas!