Lettere in redazione Ricordi di famiglia

Racconto. Il Karciofo

Il racconto di una nostra lettrice

https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/08-03-2024/racconto-il-karciofo-500.jpg Racconto. Il Karciofo


“Che si mangia oggi a pranzo” chiedo affamata a mamma. Domanda retorica. Da Chez Maman si mangiavano sempre le stesse cose: di primo pasta col pomodoro e di secondo carne arrostita e insalata o spezzatino con le patate. La domenica e festivi, a volte, mia madre si superava cucinando l’ossobuco che, purtroppo, non sempre raggiungeva il giusto grado di cottura. La cucina di mia madre era come quella cinese: tutto aveva lo stesso sapore.

“Pasta col pomodoro e spezzatino coi carciofi” mi risponde.
Lo spezzatino di mamma somigliava al brodo di carne e all’osso buco. Dentro c’erano le stesse cose: sedano, carote, cipolle buttati nell’acqua con un po’ di olio. Però, non so perché, puzzava di più. ‘Sta cosa non l’ho mai capita, evidentemente era il taglio della carne che dava questo risultato. Il macellaio, secondo me, quel taglio di carne riusciva a rifilarlo solo a lei. L’idea di mangiare lo spezzatino mi mise di cattivo umore e mi passò la fame. I miei genitori raccontavano preoccupati a parenti e amici quanto fossi inappetente, se ne lamentavano senza chiedersi il perché. Non si sono mai chiesti, infatti, perché a casa di zia Lina facessi, invece, scorpacciate di pane e provolone o pane e tonno senza alcuna resistenza. Poteva essere una interessante riflessione che non hanno mai voluto approfondire. Se lo avessero fatto avrebbero dovuto ammettere le loro lacune in cucina e, quindi, preferivano rimuovere il problema alla radice piuttosto che affrontarlo.

“Spezzatino e carciofi?” ripeto a voce bassa. Era un paradosso culinario che mi incuriosiva: “Come mai ‘sta novità?”. Era strano che non ci fossero le patate di contorno. Mi siedo con il gomito sinistro sulla tavola apparecchiata e la testa appoggiata sul palmo della mano, col broncio, in attesa del rientro di papà. Intanto assaggio una foglia di carciofo bagnata nel pinzimonio; il sapore era stranamente invitante. Avrei voluto mangiarlo tutto e subito, ma dovevo aspettare papà. Annoiata, con il ditino indice della mano destra comincio a scavare nella mollica del pane che ho davanti al naso finchè mi accorgo di avere creato una cavità. Guardo il mio operato e mi fermo. Cosa sto facendo? Per un attimo mi sembra una profanazione bucarlo e sto per rimettere velocemente le briciole al loro posto quando il mio cervello elabora un’idea balzana. Riprendo dal piatto il resto della foglia di carciofo che ho appena mordicchiato e, con un sorrisetto sornione, che non capisco come possa essere mio, la infilo nella cavità, attenta a non farmi scoprire dalla sorellina che mi gironzola intorno. Infine ricopro il buco con la mollica che avevo ammonticchiato sul mio tovagliolo, ricomponendo l’aspetto iniziale del pane. Mi allontano dalla tavola, da attrice navigata, pregustando le risate per lo scherzetto che stavo per servire alla famiglia riunita. Ho sentito il babbo entrare, io e mia sorella siamo andate a lavarci le mani e ci siamo sedute a tavola aspettando che si sedessero anche i genitori. Mentre mangiavamo la pasta ero agitatissima perché non vedevo l’ora che mio padre passasse al pane che avrebbe accompagnato lo spezzatino. Avevo i crampi alla pancia dalla tensione. Ecco, finalmente si stava per compiere il miracolo dell’apparizione del carciofo. Ricordo ancora la scena che ne seguì come se la vedessi al rallentatore: mio padre prese il pane lo sollevò, lo spezzò per darlo ai suoi discepoli e disse loro: “cos’è sta porcata”.

Stavo per scoppiare a ridere, ma venni raggelata dallo sguardo furibondo del genitore maschio e incredulo della genitrice femmina. Mia sorella incuriosita chiese: “cos’è?” “Questo è un atto criminale, chi può aver fatto una cosa del genere?” urlava mio padre mentre io mi auguravo di sparire dalla circolazione spaventata dalla sua inaspettata reazione. “ ’Sti disgraziati zozzoni, guarda cosa hanno fatto cadere dentro l’impasto, una foglia di carciofo e, per giunta, mordicchiata”. Avevo ricostruito talmente bene la struttura esterna del pane che non gli venne il minimo dubbio che la foglia potesse essere stata infilata dopo la cottura in forno. Chi avrebbe potuto contraddirlo con motivazioni credibili (cioè io) non ebbe il coraggio di farlo. Non avevo mai visto papà così arrabbiato la colpa era mia. La mamma cercava di calmarlo dicendo: “sono cose che succedono”, ma lui ormai era determinato ad andare dal fornaio a chiedere conto e ragione di quanto accaduto .. “…e deve essere convincente sennò lo denuncio alla Finanza” promise. Era il punto di non ritorno. Quando mio padre nominava la Finanza voleva dire che non c’era nulla che avrebbe potuto farlo desistere dal proposito. Non sapevo cosa fosse la Finanza, ma doveva essere una signora terribile vista la soggezione che incuteva ai fornai. Quello era, purtroppo, anche il mio punto di non ritorno; come avrei potuto confessare che ero io la colpevole del misfatto e che voleva essere solo uno scherzo?. Mi sentivo un verme perchè ero pur tuttavia una brava bambina e avrei voluto salvare l’innocente panettiere. Non meritava di essere deferito alla signora Finanza che chissà quante gliene avrebbe dette per colpa mia. Mi si era completamente chiuso il canale di collegamento con lo stomaco e avevo la nausea, presi a piangere disperate, calde lacrime. Mia madre preoccupata dal mio pianto protestò verso mio padre: “hai visto che l’hai fatta spaventare? C’era bisogno di fare ‘sto casino?”

Nel tafferuglio che ne seguì anche mia sorella, per solidarietà, cominciò a piangere senza capire niente di quello che stava succedendo. Aveva la metà dei miei anni e voleva sapere chi fosse la terribile signora Finanza. Quel giorno il pranzo si era concluso nel peggiore dei modi; nessuno aveva finito di mangiare e la colpa non era stata dello spezzatino. S’era fatto tardi e mio padre doveva ritornare a lavoro. Uscendo proclamò che non sarebbe rientrato prima di aver risolto il problema col panettiere.

“Lascia perdere”continuava a ripetergli mia madre mentre si allontanava “cambieremo fornaio” “Mamma, sono stata io a mettere il carciofo nel pane” confesso tranquillizzata dall’assenza di mio padre e sfinita dalla stanchezza della tensione accumulata. “Per scherzo” confermo. Mia madre preoccupata mi tocca la fronte prima col dorso della mano, poi con la bocca, come si usa fare ancora oggi con i figli: “porca miseria, straparla, deve esserle venuta la febbre”. Ho cercato di convincerla che quella pensata era proprio frutto del mio cervello, ma non c’è stato verso. Non mi ha creduta perché avevo fama di brava bambina e non potevo aver combinato una cosa del genere. “Dove la metto sta” diceva e non poteva smentirsi davanti alle amiche, e io non ho più insistito. Morale della favola, come diceva mia nonna: “fatti a nomina e va curcati”. Ogni convinzione a casa mia si radicava diventando certezza, senza possibilità di smentita o discussione. Quindi: - Io ero certamente una brava bambina inappetente perché lo diceva mamma; - la signora Finanza era certamente terribile coi panettieri perché lo diceva papà; - mia madre era certamente una pessima cuoca perché lo dicevo io.

Niente e nessuno avrebbe fatto vacillare le certezze di famiglia. 


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