Da La Sicilia: Cicuta di Stato
di Silvana Grasso

«O Antifonte, presso di noi è opinione diffusa che della bellezza e della sapienza allo stesso modo si possa disporre in modo decente e indecente. Se uno infatti vende la propria bellezza per danaro a chi la vuole, lo chiamano puttana, se uno invece si fa amico qualcuno che sa essere amante virtuoso, lo giudicano assennato. Lo stesso vale per quelli che mettono in vendita la propria sapienza a chi la vuole in cambio di danaro: li chiamano sofisti; invece chi insegna ciò che ha in sé di buono a uno che conosce essere naturalmente dotato, pensiamo che costui faccia quello che conviene a un cittadino e a un gentiluomo. Come un altro si compiace di un bel cavallo o di un cane… io traggo piacere dai buoni amici, e se so qualcosa di buono lo insegno a loro e li introduco presso altre persone dalle quali otterranno benefici per il conseguimento della virtù, e i pensieri preziosi dei sapienti del passato, li ripercorro leggendoli e commentandoli con gli amici» (Senofonte, Memorabili).
Chi con sovrana ironia spiega al sofista Antifonte che non tutto ha un prezzo, che non tutto si compra in virtù di danaro, e che non si sente fesso sol perché gratuitamente trasmette la virtù del sapere ai suoi discepoli, reo confesso di contagio culturale, d’epidemia culturale, è Socrate, il Maestro, che nulla avendo scritto, per diaspora intellettiva ed emotiva è, assieme a Dante, l'”intellettuale” più conosciuto al mondo. Al di là di longitudini e latitudini, colore di pelle, occhi a mandorla o boopidoi, Socrate è passepartout per qualsiasi dogana di frontiera culturale, un classico della contemporaneità. E questo non sfuggì a due dei suoi più affezionati discepoli, Platone l’ateniese e quel Senofonte che, nato intorno al 430 a. C, da famiglia ricca e aristocratica, lo assunse a modello-culto, pur senza averne inteso la portata rivoluzionaria del messaggio; ma questo attiene solo al limite dell’uomo Senofonte.
Antifonte è un sofista, scandalizzato dal fatto che Socrate non accetti compensi in danaro «in cambio della sua compagnia», probabilmente perché non ha valore alcuno il suo insegnamento.
La risposta è quel che testualmente abbiamo riportato in incipit, risposta ironica, che, francamente, avrà spiazzato Antifonte e il suo veniale sillogismo. Ci sono cose senza prezzo, impossibili da economizzare, la Virtù per esempio. Il dialogo tra Antifonte e Socrate è in realtà un ossimoro tra stupidità e intelligenza, la mediocrità e genialità.
Antifonte si reca da Socrate per soffiargli i compagni-discepoli, impresa comunissima oggi a quanti politici, neonati o riciclati per nuovi, vogliono arraffare proseliti facendoli transumare da altri stazzi partitici. Antifonte, come il nostro neo-leader politico X, dovrà, perché lo scippo si realizzi a suo favore, esporre un programma, originale e passionale, comunque convincente. Infatti gli “argumenta” del programma saranno decisivi e, solo se carismatici, possono assicurare la diaspora dal vecchio partito al nuovo, o per tale contrabbandato.
Quali sono, dunque, gli argomenti di Antifonte? «Socrate, pensavo che quelli che si dedicano alla filosofia dovessero diventare più felici… invece tu conduci un tipo di vita, come non la sopporterebbe neanche uno schiavo… mangi cibi modestissimi, indossi un mantello che non solo è di cattiva qualità, ma è lo stesso, estate e inverno, e vivi costantemente senza scarpe e chitone. Per di più non accetti danaro. Se dunque, come i maestri delle altre discipline fanno diventare i propri scolari loro imitatori, così intendi fare anche tu con i tuoi, sappi che sei un maestro d’infelicità». Ricchezza d’abbigliamento, cibi lussuosi, insomma cose tangibili, cui assegnare una “stima” di valore sociale sono per Antifonte evidenziatori o, meglio, adescatori, irrinunciabili per avere titolo “politico”, per avere seguito come leader, evocando nei possibili convertendi politici la libido ad res. Insomma il vero Maestro proposto dal sofista contestatore di Socrate è l’esteriorità, l’apparenza, l’addobbo.
Socrate, di fronte alla sfacciata dabbenaggine del suo interlocutore, usa l’ironia, da vero leader, da vero “politico” di razza, lui che dalla politica di governo si tenne lontanissimo. «Mi pare, o Antifonte, che tu presuma che la mia vita sia così insopportabile, che preferiresti morire piuttosto che vivere come me. Disprezzi il mio stile di vita perché mangio alimenti meno sani di te o perché i cibi che ti procuri ti danno più piacere di quanti a me ne diano i miei?…. Non sai che colui che mangia con più appetito ha meno bisogno di condimento, e chi beve con più gusto prova meno desiderio della bevanda che non c’è?… Credi che ci sia qualcosa di meglio per evitare la schiavitù del ventre, del sonno e della lascivia che non avere altri piaceri, tali che non procurino gioia solo nel momento in cui li si vive, ma offrano qualche speranza di benefici durevoli?… Credi che dai tuoi godimenti ti verrà un piacere tanto grande quanto quello che viene dall’idea di migliorare se stessi e di acquistare amici migliori? » (Senofonte, ibidem).
Protagonisti simbolici, ma effettivi della diatriba, sono la Cosa e il Pensiero, il Qualunquismo impersonale e la Personalità. Conflitto validissimo anche ai nostri giorni, in cui, si sfidano a duello il Rolex e l’Idea, la Ferrari e la Parola, parola sovrana, parola di pochi, parola per pochi. Specie divina, sopravvissuta ai lanzichenecchi della sofistica d’ogni tempo!
Antifonte è l’opposto di Socrate e, se non avessimo certezza storica dell’uno e dell’altro, potremmo pensare ad una piece teatrale, con nomi fittizi, dove a scontrarsi in una sorta d’agone tipico della commedia d’ Aristofane siano il Vuoto e il Pieno.
Conclude Socrate: «Se gli amici o la città hanno bisogno d’aiuto, ha più disponibilità per impegnarsi chi vive nel modo che tu definisci felice? Chi potrebbe partecipare ad una spedizione militare con più abilità: chi non può vivere senza uno stile lussuoso o uno a cui basti quello che c’è? Mi sembra che tu creda che la felicità sia lussi e ricchezze, io credo invece che non avere bisogno di niente sia proprio degli dei».
Concludiamo noi che i debuttanti politici, pur se riciclati, per avere speranza d’essere anche solo ascoltati, in tempi di fischi e pomodori facili, debbano nutrirsi di sardine, ceci, fagioli, cavoli e broccoletti. Ne trarranno ottimi benefici, se non in termini di consenso elettorale, in termini di dimagrimento di colesterolo e trigliceridi.
A distanza di moltissimi secoli possiamo, senza timore d’essere smentiti, affermare, comunque, che l’abito non fa il monaco. Socrate, suicidato con cicuta di Stato, sopravvive, per aletheia e sophia, nella memoria dell’Umanità civile, cult d’ogni tempo, oltre lo sterile periodare della Storia, oltre i reclutamenti di veniali ideologie. D’Antifonte, ormai pulvis in qualche tombarella disintegrata, non v’è traccia. Perché “beni” deperibili sono vesti e cibi, perché il nulla si restituisce al nulla senza rumore alcuno.
© Riproduzione riservata