Ragusa - Il settore agricolo siciliano è una giungla senza diritti, eppure è uno di quelli che meno ha subito la pandemia Covid e nel 2021 è cresciuto del 6%. Eppure sfruttamento e caporalato, continuano ad essere pane quotidiano. Nata zoppa per i troppo stringenti requisiti richiesti, la regolarizzazione firmata dall'allora ministra Teresa Bellanova è naufragata. "La provincia di Ragusa, la cosiddetta fascia trasformata, è stata la seconda in Italia per numero di richieste - denuncia Michele Mililli di Usb -. Quasi duemila, la maggior parte respinte perché braccianti costretti per anni al lavoro nero o grigio difficilmente avevano carte per dimostrarlo, per molte altre aspettano ancora l'esito”.
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Ma il permesso che avevano al momento della domanda durava 6 mesi, è di fatto già scaduto. Oggi nel ragusano a far andare avanti l’agricoltura sono braccianti che lavorano fino a 9 o 10 ore al giorno, per 30 euro al massimo: in genere uno straccio di contratto lo hanno, ma le giornate dichiarate sono sempre meno di quelle reali. Arrivano in serre e campi che non è l'alba e quando vanno via manca poco al tramonto, ma le loro buste paga valgono meno di un part-time. Non è l'unico comparto in cui il lavoro reale è diverso da quello previsto dal contratto, ce n’è pure per gastronomia e ristorazione. Nelle prove di rilancio economico post virus, più di qualcuno sta restando indietro.