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1996. E Battiato predisse la Gelmini e la Carfagna ministre

Decline and Fall of the Roman Empire

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C’è una canzone di Franco Battiato, del 1996, poco nota agli stessi appassionati del maestro di Jonia, una canzone pubblicata come b side di un singolo apparso nell’anno de L’Imboscata.

La canzone si intitola Decline and Fall of the Roman Empire, declino e caduta dell’Impero Romano.

Il gioco è metempsicotico come in Cafè de la Paix. Il cantautore sogna di aver vissuto in una vita precedente e regredisce in una condizione passata per raccontare un presente inenarrabile.

Come in Povera Patria, c’è un che di facilmente profetico nella descrizione dei fatti: l’imperatore celebra pietanze invece di battaglie, confonde l'ordine delle stagioni, fa ministri mimi e ballerini…

Il sole di Emesa è quel Sol Invictus celebrato dai latini e traslitterato nel Natale cattolico. Intorno al 21 dicembre i romani celebravano la vittoria della luce sulle tenebre, una festa importata dalla Siria e da Emesa dall’Imperatore Eliogabalo.

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Per la prima volta su internet vi proponiamo oltre al testo e alla canzone, l’originale di Manlio Sgalambro cui Franco si è ispirato.

Buon ascolto e buona lettura.



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                                  Il testo di Battiato
Vivo alla fine dell'Impero Romano
in un giardino di ciliege
che spruzzano il loro succo
sulla mia faccia slavata.
Perfido Stilicone barbaro multiforme,
i monaci cantano il vespro nel tempio di Giove.
Dolce sole di Emesa
Eliogabalo imperatore
celebrava pietanze invece di battaglie,
confondeva l'ordine delle stagioni,
faceva ministri mimi e ballerini.
Bolide solare.
Vaga per i mari come putrida barca l'impero.
Tutto è vanità.
Come in un gioco di bambini
svicolo per viuzze piene di profumi e unguenti
mentre leggo "L'Anatomia dell'Urina" di James Heart
assieme al "Vangelo secondo San Matteo":
mi beo di sulfuree intese con pianeti
e in un istante attraverso l'orbita celeste.
Odo un canto all'orizzonte.
Mi assottiglio,
sono spirito puro,
sono fiore, tigre,
mi risveglio.
Muffe, odori eziologici per mondi alla fine
purificati da lirici antropoidi.
Qui a tre passi la decadenza avanza
chiunque tu sia, ti prego, rispondi:
ci sono ancora altre aurore?
Dona,
abbi pietà,
abbi misura.

 

Franco Battiato
Decline and Fall of the Roman Empire
1996

 

 

                                   Il testo di Sgalambro
Io vivo alla fine dell’impero romano
in un giardino di ciliegie che sprizzano
il loro succo sulla mia faccia slavata.
Perfido Stilicone, barbaro multiforme,
i monaci cantano il Vespro nel tempio di Giove.
Intonano i cori “The Decline and Fall”.
Dolce Sole di Emesa, Elagabalo,
a quattordici anni Imperatore di Roma
come ti invidio e ti onoro.
Celebravi pietanze invece di battaglie
per questo ti aborriscono gli storici.
Confondevi l’ordine dei climi
e facevi ministri mimi e ballerini.
Onoro imperatori neghittosi e feroci.
Che importa la nobile indole di Tito,
se con Commodo regna ovunque la pace?
Vaga per i mari come putrida barca
l’Impero, e io mi diletto a un verso
di Nerone.
Svicolo per viuzze, zaffate di profumi
e fetidi unguenti, mentre leggo
The Anatomy of Urines di James Hart
assieme al Vangelo secondo San Matteo.
Un Catalepton liber occidentale
E la Dialectica di Garlando Computista.
Mi beo di sulfuree intese con i pianeti
e in un istante attraverso l’orbita
dei cieli.
Odo un canto di Saffo all’orizzonte.
Che gioia, ricomincio, ritorno, mi assottiglio.
Sono spirito puro. Tigre mi risveglio.
Muffe, odori eziologici purificati da lirici
antropoidi e violini tzigani. A tre passi
la demenza avanza.

Manlio Sgalambro

Marcisce anche il pensiero, Bompiani, 2011


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