Milano - E’ andato in onda su Italia 1 il 27 settembre, ma il servizio delle Iene firmato da Nadia Toffa sui pomodori cinesi made in Italy continua ancora a suscitare polemiche. C’è chi lo ha liquidato come “bufala” praticamente all’indomani della messa in onda, chi invece sostiene sia un problema non solo reale, ma in continua crescita che, senza una legislazione adeguata atta a garantire in maniera seria il Made in Italy, rischia di provocare danni seri principalmente ai consumatori che, convinti di mangiare prodotto italiano si ritrovano in tavola a mangiare pasta con sughi provenienti da chissà dove. Il problema messo in evidenza dalle Iene non è tanto il fatto che i pomodori possano provenire dalla Cina, piuttosto che la legislazione di quel Paese è molto meno restrittiva rispetto alla nostra in merito all’utilizzo di pesticidi e che un’etichetta recante la dicitura “Made in Italy” non è sufficiente a garantire al consumatore la provenienza dei cibi o dei prodotti. Per arginare i “problemi” derivanti dalla nostra legislazione e per conseguire anche un notevole risparmio sui costi di produzione, alcune aziende (i cui nomi sono stati bippati nel servizio in quanto non esistono, al momento, prove che possano certificare quanto riferito dai produttori cinesi), si rivolgono ai produttori del Sol Levante per comprare la pasta di pomodoro cinese concentrata che serve per ricavare qualsiasi tipo di prodotto a base di pomodoro (dai sughi alle passate, dalle pizze ai surgelati). La Toffa, andata in Cina sotto copertura dicendo di essere una dipendente d’azienda interessata all’acquisto del prodotto, ha così scoperto che per acquistare 100 tonnellate di pasta di pomodoro cinese, vi è un notevole risparmio di prezzo a seconda del “colore” scelto dalle aziende italiane (il prezzo può variare dai 750 agli 840 dollari a tonnellata, a seconda della qualità, ma sembra vi siano state aziende che hanno scelto una pasta color marrone da 500 dollari, praticamente un prodotto marcio e scaduto da due anni, rispetto ai 1100-1200 euro a tonnellata di pasta di pomodoro prodotta in Italia). E oltre al problema del consumatore ingannato, vi è anche uno sfruttamento indegno di operai cinesi di tutte le età, costretti a lavorare in campi-lager pagati appena 18 centesimi di euro per la raccolta dei pomodori. Ma come può un’azienda italiana gabbare le leggi? Secondo il servizio di Italia 1, è possibile importare materia prima o prodotti semilavorati dall’Estero e concludere la lavorazione in Italia (magari solo il confezionamento) per far si che il prodotto risulti italiano. La legge, spiega la Toffa, parla infatti di “Lavorazione sostanziale” che deve avvenire in Italia. Non c’è, per i prodotti in scatola, l’obbligo di scrivere sull’etichetta la provenienza di ogni singolo componente. Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti, intervistato durante il servizio, infatti, spiega che l’obbligo di scrivere la provenienza delle materie prime per i prodotti confezionati riguarda sostanzialmente solo l’olio d’oliva e il pesce. Inutile sottolineare come il servizio abbia sollevato un vespaio di polemiche. A scontrarsi, oltre agli indignati consumatori, sono soprattutto L’ANICAV e la Coldiretti. L’ANICAV (Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari e Vegetali), già il 29 settembre ha bollato come “bufala” il servizio della Toffa con un comunicato riportato sul proprio sito e parla di “leggende metropolitane”: “Dalla Cina importiamo solo pomodoro concentrato (-80% negli ultimi 2 anni), il cui utilizzo, però, è destinato solo ai mercati esteri”. Inoltre, si legge: “Le conserve di pomodoro vendute sugli scaffali dei nostri supermercati sono ottenute da prodotto 100% italiano. Gettare ombre sull’intera industria di trasformazione del pomodoro, per il mancato rispetto delle normative vigenti da parte di alcune aziende, danneggia l’immagine di un settore d’eccellenza del Made in Italy”. È stata questa la risposta di Antonio Ferraioli, presidente di ANICAV. Giovanni De Angelis, direttore ANICAV, continua: “In pratica le aziende italiane importano il concentrato per rilavorarlo e destinarlo ai mercati esteri”. Secondo quanto dichiarato dall’ANICAV, l’Italia importerebbe la pasta di pomodoro proveniente da altri Paesi, come la Cina, solo per rivenderlo all’Estero e non per produrre le proprie passate. Di opinione totalmente contraria, invece, la Coldiretti: “Sono aumentate del 520 per cento le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina che raggiungeranno a fine anno circa 90 milioni di chili, pari a circa il 10 per cento della produzione nazionale”. I dati della Coldiretti, ricavati dall’Istat, denunciano il rischio che in questo momento sta correndo in Made in Italy. “Dalla Cina - sottolinea la Coldiretti - si sta assistendo ad un crescendo di navi che sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso con concentrato di pomodoro da rilavorare e confezionare come italiano poiché nei contenitori al dettaglio è obbligatorio indicare solo il luogo di confezionamento, ma non quello di coltivazione del pomodoro. La maggioranza degli sbarchi avviene nel porto di Salerno in Campania come evidenziato dal rapporto Agromafie elaborato dall'Osservatorio sulla criminalità in agricoltura insieme ad Eurispes e Coldiretti”.
E i consumatori? In questa eterna battaglia per il profitto, è l’unico a rimetterci oltre alle aziende che non giocano a rimpiattino e ai contadini cinesi.
di Irene Savasta
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