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Messina Denaro, in 10 giorni nessuno è andato a trovarlo in carcere

In dieci giorni di detenzione Matteo Messina Denaro ha incontrato solo medici. Nessun parente, neanche la nipote avvocata che lo difenderà

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L'Aquila - Dieci giorni di solitudine. In carcere a L'Aquila non è andato a trovarlo nessuno, neanche la nipote avvocata, Lorenza Guttadauro, che lui ha nominato come proprio difensore e legale. Si è limitata a telefonargli. In dieci giorni di detenzione Matteo Messina Denaro ha incontrato solo medici. 

Ha raccontato come ogni giorno facesse una corsa di cinque chilometri. La muscolatura delle gambe mostra un fisico allenato, ma ora in carcere non vuole andare a fare la passeggiata da solo nell'ora d'aria che gli è concessa. 

Vuole «cure speciali» contro il cancro in carcere. L’ultimo dei Corleonesi segue la strategia del silenzio nei processi. E rinuncia a comparire davanti alle Corti, dimostrando di non volersi difendere da accuse che ritiene ingiuste. Mentre anche Andrea Bonafede, accusato di favoreggiamento decide di restare zitto davanti al Gip. ‘U Siccu però a Le Costarelle con i medici parla. Della sua malattia (il tumore al colon) e delle terapie a cui è sottoposto. Sostiene di conoscere le caratteristiche dei farmaci che gli vengono somministrati. Compresi gli effetti collaterali. E con tono garbato ha chiesto ai dottori se è possibile accedere a cure farmaceutiche «che ci sono solo in Israele». Come se avesse cercato notizie su Internet. E dimostrando così che la paura della morte è stata fondamentale in quell’abbassamento delle difese che ha portato alla cattura dopo trent’anni di latitanza. 

I bambini
«Non creo problemi, ditemi cosa devo fare» sono le poche parole che ha detto in questi giorni ai poliziotti che devono sorvegliarlo. Ma su una cosa tiene il punto: «Non sono la persona che viene descritta», ha detto puntando il dito verso la televisione. E aggiunge che lui non ha «mai ucciso donne o bambini». La frase ha un senso all’interno del contesto culturale di Cosa Nostra. Ovvero quello in cui i Padrini si vantavano di lasciare fuori dalle loro guerre i cosiddetti “deboli”. O gli innocenti. Nel caso di Messina Denaro però l’affermazione scricchiola. Perché il boss è stato condannato in via definitiva per aver partecipato al rapimento e all’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Ma anche per aver strangolato la giovane di Alcamo Antonella Bonomo, incinta. L’ultimo dei Corleonesi è poi considerato l’ispiratore della seconda strategia delle stragi di mafia, dopo Capaci e via d’Amelio. Ovvero degli attentati dinamitardi organizzati fuori dalla Sicilia. Tra questi c’è via dei Georgofili a Firenze, dove morirono il vigile urbano Fabrizio Nencioni, sua moglie Angela e le loro due figlie di otto anni e cinquanta giorni. 

Il silenzio del boss
Per il resto, il boss resta in silenzio. Deve scontare anche tre anni di isolamento diurno, quindi non potrà incontrare altri carcerati. Agli agenti della polizia penitenziaria aveva detto di essere incensurato. E ha anche precisato, malgrado non ce ne fosse bisogno, che non si pentirà mai. Ha parlato con la psicologa del carcere. Mentre indossa ancora i vestiti datigli nel momento dell’arrivo nel penitenziario. Aspetta un pacco con abiti di ricambio dalla famiglia a Castelvetrano. Intanto durante le perquisizioni, oltre ai telefoni cellulari, pare sia stato rinvenuto anche un computer. Un portatile che adesso gli investigatori stanno analizzando. Bisogna però anche realizzare la copia forense. Ovvero il duplicato digitale utilizzabile durante i processi. Al procedimento potrà assistere un perito di parte. L’avvocata Guttadauro è chiamata a nominarlo.


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