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Racconto di Natale. Una visita particolare

Il racconto di Natale di Un Uomo Libero per i lettori di Ragusanews

https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/22-12-2024/racconto-di-natale-una-visita-particolare-500.jpg Racconto di Natale. Una visita particolare


 - La Sicilia, disse Suor Maria di San Guglielmo, la vecchia superiora delle clarisse cappuccinelle di Palermo, città dove da poco mi ero trasferito e vivevo, è quella terra antica nella quale attecchì e fiorì una nuova pianta americana fatta di enormi cladodi, carnosi e rugosi come un vecchio volto disfatto dagli anni. Le foglie che sembrano spine e i frutti generosi e truculenti tanto somigliano alla nostra vita. -

Suor Maria custodiva dentro un cuore tenero di bambina claustrali silenzi, interrotti dal rumore di un cilicio con cui spegneva nell’austera ed egoistica solitudine del chiostro gli ardori mai sopiti di un amore ancillare che un dio di carne e ossa aveva osato insinuare e far palpitare tra candide e immacolate lenzuola: respiro segreto di un’umanità mortificata che solo aspirava al cielo come meta purificatrice di una redenzione da un’ipotetica colpa.

Il canto e il fumo dell’incenso avevano stordito e narcotizzato i sensi per redimerli quando nella calura estiva con prepotenza il desiderio suscitava immagini impudiche riaffioranti da una giovinezza lontana, sicuramente negata, vagheggiata all’ombra di una passione inconfessabile per uno dei tanti umili famigli che il demonio le aveva messo accanto, a bella posta.

La donna teneva come un flagello, tra le mani di cera, un crocifisso di legno e di latta. Adornava la sua vistosa corona di rosario pendente da una ruvida corda stretta quasi a imbrigliare un addome ormai pingue e rilassato come quello di una madre prolifica.

Sui suoi occhi grigi, cangianti a celeste, scivolavano pensieri, onde pigre nel vago ricordo di un mare lontano circondato da sabbie antiche, dominato da consanguinee e spietate generazioni d’uomini.

Con le sue calure estive, i rosari vespertini, cantilenati nel grande salone, spalancato alla brezza che saliva dal mare, di una residenza principesca immensa svettante su una distesa di vigne, Sampieri si ripresentava alla sua mente, per un’istintiva catarsi nella quale morivano soffocati i sogni della notte, come un grumo di case spiaggiato sulla riva da una corrente nemica.

Si sentiva, lei, la santa, come una palamita incappata in una spadara fra le inferriate di una clausura scelta da altri ma vissuta con apparente sussiego e dignità da un corpo reso docile da infinite mortificazioni.

L’amante, che aveva turbato le sue voglie adolescenziali, così mi raccontava mia madre che ben l’aveva conosciuta e amata, spesso le compariva martoriato come Cristo in croce o come il padre, un aristocratico dal cipiglio severo, nei momenti più fragili e intimi quando la nostalgia dei baci rubati in un labirinto di bosso nel giardino della villa antica si faceva fastidiosa e pressante, senza che la preghiera accorata riuscisse a esorcizzarla.

Più volte suor Maria aveva confessato nella sua esistenza di reclusa al direttore spirituale ansie, dubbi, paure e lotte ottenendo da questi solo ammonimenti vaghi o blande penitenze che volevano certo spingerla verso un cammino di perfezione che altri avevano scelto per lei.

La superiora sorrideva, ora, dietro la grata del parlatorio come un rassegnato carcerato condannato all’ergastolo, mentre le raccontavo la mia chiassosa Sicilia che viveva fuori dal monastero nel tempo, dalla quale lei era stata allontanata per una vocazione “improvvisa”.

- La chiesa è sempre là, vicino al moletto, non è stata spostata altrove? – Domandò con interesse, con curiosità.

- Sì. – Risposi.

- Che ne è stato della villa di mio papà? – Chiese ancora con un filo di voce.

- Altri proprietari, ristrutturazioni, restauri…- La informai intenzionalmente vago.

Suor Maria abbassava lo sguardo per celare forse un dissenso. Chinava la testa per dissimulare l’inopportuno accavallarsi dei ricordi.

Tacque e fu un lungo silenzio. Rispettai quel riserbo, scandito da un respiro che a momenti si faceva affannoso, grave.

Si alzò con un leggero fruscio delle vesti, toccò la corda di una vecchia campanella attaccata a una parete vicina imbiancata a calce e spoglia.

Comparve una consorella velata, lei farfugliò qualcosa, la suora scomparve. Aspettai che suor Maria ritornasse a parlarmi.

La consorella apparve invece dopo una pausa breve con un pacco ben confezionato. Era un regalo per me. La superiora lo prese dalle mani della suora, lo introdusse nella ruota e me lo girò. Ero sorpreso.

- Perché disturbarsi tanto, venerabile Madre? – Dissi, confuso, arrossendo.

- Oh, no! – Subito si schermì lei. – È proprio un piccolo dolce pensiero. Natale è alle porte e lei è solo in questa città. Palermo è lontana dal suo mondo. L’ho fatta chiamare per questo motivo. È stata un’idea del confessore dirle che avevo bisogno di una sua consulenza. A volte mentire per una causa giusta non è peccato, se a consigliarlo è un uomo di chiesa. – Sorrise maliziosamente. Continuò: – Venga a trovarci, evitando però i periodi di stretta clausura, e mi saluti la mamma, quando la sentirà. La sua visita ha fatto tanto bene alla mia anima. –

Suor Maria abbassò il velo che per la regola doveva celare il suo volto emaciato ma luminoso. Si alzò e si congedò con un inchino del capo. Scomparve dietro una porta pesante di legno con la leggerezza di un angelo. Una consorella velata apparve in parlatorio, mi guidò fino al portone di uscita del convento.

Seppi dopo alcuni mesi da mia madre che suor Maria era molto malata.

La nostalgia, forse, per la terra lontana l’aveva convinta a infrangere, chiamandomi, ogni regola tutta rivolta a dimenticare il suo passato.

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