Madrid - Il "Gioia" o anche "L'Uomo Vivo", termini usati dagli sciclitani per chiamare e invocare il Risorto, si è imposto col suo traboccante verismo sull'immaginario non solo degli abitanti di Scicli ma anche dei centri vicini.
Questa statua di cipresso, scolpita alla fine del Settecento da F. Pastore, un abile artista catanese, come puntualmente documentato dal valente cultore di storia locale Massimo Boscarino, è forse ciò che resta di un rito pasquale della pace, di classica tradizione spagnola.
Anche a Scicli, penso, avveniva nel giorno di Pasqua "l'incontro" tra la Vergine e il Cristo Risorto. Prova ne è la splendida pala che presidia l'altare maggiore dell'antica Chiesa della Consolazione. Qualcosa di simile alla "Madonna vasa vasa" di Modica o alla "Paci" di Comiso.
Nel corso degli anni, però, la figura della Vergine con molta probabilità è scomparsa e il Cristo le ha rubato, com'è naturale che fosse, la scena.
Da fonti dirette ho buoni motivi per credere che, comunque, la consacrazione del Risorto di Scicli a capopopolo sia avvenuta nella seconda metà dell'Ottocento, in piena Unità d'Italia.
Conforta questa tesi il silenzio delle fonti storiche che, dalla fine del Settecento fino alla fine dell'Ottocento, per quasi un secolo circa, ha avvolto il simulacro del Cristo.
Le cronache ci narrano, infatti, le intemperanze dei portatori dell'arca di San Guglielmo con dentro le reliquie del Santo patrono. Sappiamo delle grandi lotte tra confraternite. Non esiste, però, riferimento certo alcuno al Cristo Risorto e al suo originale modo di portarlo, anche perché, a quel tempo, tutte le statue erano caricate sulle spalle dai fedeli.
Ho scritto in altre occasioni che la nascita della moderna festa di Pasqua è da individuare quasi con certezza nelle rivolte operaie che scoppiarono nella Sicilia post-unitaria.
Così riporta a proposito lo storico Bartolo Cataudella nel suo interessante libro "Scicli":
"Verso la metà di maggio, del 1893, si costituiva anche a Scicli, il "Fascio" dei lavoratori, con ben 200 aderenti (quello di Siracusa ne aveva 1000). Dei "fasci" sorsero in quasi tutti i Comuni dell'isola, tra le agitazioni violente delle masse. Seguirono arresti, processi, condanne, eccidi di lavoratori in tumulto. I "Fasci" furono sciolti e fu proibita la loro ricostruzione. Ma rimase latente il fuoco della rivolta. Già prima, nel 1882 a Scicli, il giorno di Pasqua, era scoppiato uno di quei tumulti improvvisi e imprevedibili, cui si abbandonano impensatamente le masse; si svolse attorno alla fabbrica in costruzione del Palazzo Busacca, nel luogo dov'erano stati demoliti i magazzini di grano del Conte di Modica e le Carceri; e furono malmenati i Carabinieri reali. Si ricorda il grido dei rivoltosi contro gli agenti dell'ordine: "Ar'illi! Ar'illi" ("come a dire "dagli ad essi") (Pag. 194, Scicli, storia e tradizioni, Bartolo Cataudella).
Questo racconto mi fu confermato da mio padre al quale era stato già narrato da mio nonno. Nella rivolta, infatti, il fratello di mio nonno aveva avuto un ruolo importante ed era stato anche arrestato.
Quel giorno di Pasqua, dunque, il popolo in festa si ribellava al nuovo ordine costituito innalzando un Cristo che agita una bandiera rossa simbolo di un socialismo militante, lottato, inviso al clero e alle classi borghesi e aristocratiche.
Il popolo aveva scelto un'immagine sacra, dunque, che contraddiceva a tutti i canoni estetici, moralistici e politici del tempo.
Si era appropriato di un corpo nudo, infatti, coperto appena di una sindone rosa che poi diventò improvvisamente rossa come quella bandiera che impunemente agitava nel suo forte pugno chiuso.
Un popolano bello, mediterraneo e ardente, altero e virile al tempo stesso, dallo sguardo galvanizzante e ispirato, con i muscoli gonfi tipici di chi ha lavorato duro per tutta una vita, diventa a furor di popolo l'eterno condottiero atteso e sognato dal proletariato insorgente come un autentico messia pagano, sublime sintesi di tutte le fedi soprannaturali e umane.
Uomo realmente risorto dai "catoi"(1) miserabili di una Scicli che presto conoscerà un devastante colera (2) e gli inevitabili e necessari sventramenti di fine secolo.
Generazioni di giovani sciclitani hanno adottato quest'immagine, cristallizzata dalla memoria popolare e diventata simbolo della loro coscienza di uomini liberi.
Per esse è lui il vero Risorto! Diversamente dal Risorto dei vangeli, esce, infatti, dall'ombra della Storia e domina un delirio collettivo, tipico di un popolo atavicamente inquieto.
Ogni anno ritorna a vivere, magari solo per un giorno, per una misteriosa compenetrazione magica tra portatori e portato. Innalzato al cielo da devoti invocanti, imprecanti, corre come un pazzo per le strade, gira per le piazze, benedice e approva tra urli e schiamazzi. Si appropria della città cui nessuno potrà strapparlo mai per un consolidato e antico sodalizio.
E' strano e bello scoprire che, in un tripudio di mille mani tese, a sorreggere il suo atletico corpo di guerrigliero siano tanti corpi anonimi che si ritrovano per miracolo in un'unica sola identità, la sua.
Pregiudicati, uomini di governo e di legge, dottori e professori si confondono sotto le sue "aste" a manovali, macellai e agricoltori, a disoccupati, a gente comune di ogni rango e classe.
E' l'intera società sciclitana che lo porta sulle spalle perché Lui la ricapitola in se e la rappresenta tutta.
Un tempo i capi "Vucculàri" erano esponenti di due importanti corporazioni cittadine: quella dei macellai e quella dei "cannavatàri" (così si chiamavano gli agricoltori che producevano anticamente canapa o in epoca più recente primizie orticole lungo le fertili sponde del torrente Modica Scicli). Le cosiddette "vùccule" erano, in effetti, due grossi anelli di ferro piantati ciascuno alle estremità anteriori dei due lunghi legni: le aste, appunto, sulle quali è montata la semplice "vara"(3).
Erano queste due figure importanti che decidevano e ancora decidono ogni movimento del Cristo. Tuttora predispongono l'itinerario, comandano la corsa o l'attesa, stabiliscono il numero dei giri in chiesa o in piazza del Carmine, organizzano le fughe verso mete più o meno condivisibili, dov'è già predisposta una fiaccolata, una maschiata(4), un trattenimento un tempo a base di vino, ora a base di acqua zuccherata per lenire l'arsura dei portatori.
Lui, il "Gioia", come allora, si fa compiacente compagno di bagordi, complice consapevole di chi lo ama al punto tale da volergli trasfondere la propria vita nelle vene rigonfie. Moderno e affascinante Dioniso in bilico tra superstizione e fede.
Fu in un'indimenticabile Pasqua dei primissimi anni Cinquanta che l'"Uomo Vivo", attraversando lo splendido e antico Corso San Michele, improvvisamente svoltò per via Santa Teresa lasciando che il seguito e i musicanti continuassero per la loro strada. Il vocio dei portatori risvegliò quell'antico quartiere del centro storico quasi assopito nel buio delle sue stradine deserte. Improvvisamente le finestre e i balconi si spalancarono per fare festa a questo visitatore illustre, inatteso e magnifico. I portatori abbassarono la "vara" fino a lambire l'acciottolato degli antichi vicoli e poi deposero il Cristo davanti alla porta di un'umile casa, dove una giovane madre, consumata dal cancro, in quella notte si apprestava a compiere il suo ultimo viaggio.
E' un mio ricordo di ragazzo ma è anche l'immagine più purificata e bella del Signore Risorto, il Gioia di Scicli, questa che mi porto dentro. Per cieli lontani e terre straniere spesso mi consola, mi accompagna, mi rallegra e mi acquieta quando una struggente malinconia aggredisce la mia anima stanca o mi tormenta il cuore.
(1) Stamberghe nell'antico dialetto sciclitano
(2) Il colera del 1887
(3) il fercolo. In effetti, un trono che fa da basamento alla statua del Cristo Risorto.
(4) Dal valenzano "mascleta" = trattamento pirotecnico