Catania - Ventisette concorsi truccati, diciassette per professore ordinario, sei per ricercatore e i vertici dell'Università sono stati decapitati dalla magistratura. Arriva come un ciclone l'ultima operazione della Procura di Catania sull'Ateneo, eseguita dalla Digos, gli indagati sono quaranta e spiccano i nomi eccellenti, a partire dall'attuale Rettore, Francesco Basile e dal suo predecessore, Giacomo Pignataro.
Oltre ai due Rettori, il Gip di Catania ha sospeso Giancarlo Magnano San Lio, prorettore dell'Università, Giuseppe Barone, ex direttore del dipartimento di Scienza Politiche, Michela Cavallaro, direttore del dipartimento di Economia, Filippo Drago, direttore del dipartimento di scienze biomediche, Giovanni Gallo, direttore del dipartimento di matematica, Carmelo Monaco, direttore del dipartimento di Scienze biologiche, Roberto Pennisi, direttore del dipartimento di Giurisprudenza e Giuseppe Sessa, presidente del coordinamento della Facoltà di Medicina dell'università di Catania. La Procura aveva richiesto per loro gli arresti domiciliari.
L'inchiesta nasce dalle denuncie incrociate presentate dall'ex Rettore Giacomo Pignataro e da Lucio Maggio, direttore amministrativo. La Digos inizia a eseguire le intercettazioni e viene fuori un sistema di preconfezionamento dei concorsi universitari.
Il 2 febbraio del 2016, dopo l'elezione di Basile, la prima domanda che ha posto al suo predecessore è stata emblematica: "La stanza l'hanno bonificata?". Il passaggio di consegne avviene mentre le cimici della Digos registrano. La Digos ha accertato che "il futuro vincitore dei concorsi veniva deciso a tavolino e i concorsi venivano costruiti ad hoc per chi dovesse vincere, stabilendo chi dovessero essere i commissari, i membri esterni, nei casi più gravi era il candidato stesso a elaborare i criteri del concorso".
Francesco Basile è ritenuto il "capo" dell'associazione a delinquere finita nel mirino della Procura. Il Cda è stato eletto grazie a dei "pizzini", consegnati anche ai rappresentanti degli studenti "che - sottolinea la Digos - non si sono sottratti a questa logica". Tra gli indagati, Giuseppe Barone, è accusato anche per il concorso predisposto in favore del proprio figlio dai vertici dell'Università.
Tutto sarebbe stato stabilito "a tavolino", anche il numero delle pubblicazioni che dovevano essere presentate. Il condizionamento da parte dei vertici universitari riguarderebbe anche il conferimento degli assegni, l'assunzione di personale tecnico amministrativo, la composizione degli organi statutari dell'Ateneo, l'assunzione e la carriera dei docenti universitari.
Metodologie "paramafiose", e un codice basato sul "ricatto" e l'assenza del merito. I concorsi erano stati già prestabiliti per alimentare un sistema fatto da "figli dei figli", spiega la Procura di Catania, nel quale "si prescinde totalmente dalla meritocrazia". "Chi non accettava di dare qualcosa in cambio - continuano i magistrati - era escluso in partenza. La culla della cultura adottava gli stessi metodi delle associazioni mafiose. La cultura della forza e del ricatto".
"Dobbiamo soggiacere al potere". Tra gli indagati ci sono anche i beneficiari dei "concorsi", alcuni di questi pretendevano - spiega il Pm Santo Distefano - di vincere il concorso e si dolevano della presenza di altri candidati che non sottostavano alle regole e spingevano affinché il concorso fosse dedicato solo a loro, che stavano dentro il sistema. Gli stessi beneficiari del sistema sollecitavano il Rettore ad avere condotte ritorsive nei confronti degli altri candidati che continuavano a insistere per partecipare al concorso". È un sistema, "non c'è il pagamento di una mazzetta", spiega il procuratore Carmelo Zuccaro, "essere professore o meno cambia completamente i parametri economici".
Nel sistema di gestione dei concorsi truccati sono coinvolti professori di altre Università italiane. I professori coinvolti farebbero parte di un sistema di scambio di favori.