Pozzallo – Solo le alte sfere militari forse sanno, ma non ci dicono, quante sono diventate le navi di Putin nel Mediterraneo dalle 7 contate già il primo febbraio 2022, 23 giorni prima dell’inizio della guerra ucraina fronte latente del conflitto Russia-Occidente in corso da ormai 7 mesi: l'incrociatore classe slava Varyag e la grande nave antisommergibile Admiral Tributs, un cacciatorpediniere guidato; ci sono poi due fregate, la Ammiraglio Grigorovich e la Admiral Kasatonov, a cui si aggiungono una corvetta missilistica guidata, la Orekhovo Zuevo, e due sottomarini. Ma sotto le acque del Canale di Sicilia si muovono potenzialmente in incognito sottomarini anche nucleari, mentre gli incrociatori della marina russa pattugliano spingendosi - come avvenuto quest'estate - anche fin davanti alle coste ragusane.
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Il primo articolo dedicato da Ragusanews al traffico bellico davanti ai litorali iblei è datato addirittura 31 gennaio, quando le ostilità erano ancora solo nell’aria, Da allora le manovre nautiche dimostrative, chiamate ufficialmente “esercitazioni”, si sono intensificate. Gli ultimi avvistamenti qualche settimana fa. L’Alleanza atlantica monitora Putin, con il coinvolgimento attivo della base Usa di Sigonella; ma anche lui, dal Bacino, ci controlla. Dal tempo degli zar è specchio di confronto con l’Europa: oggi la Nato mantiene il predominio nell’area, ma mai l’armata del Cremlino aveva concentrato una tale importanza di missili e sistemi antiaerei nelle nostre acque. Per Putin sono l'unica via di accesso, tramite lo stretto dei Dardanelli, al Mar Nero e al Mar d'Azov che bagna da Mariupol alla Crimea.
E la sponda sud del Mediterraneo, al di là di Pantelleria e Lampedusa, gli è amica. Il Nord Africa, con cui anche Mosca è in ottimi rapporti, s’è astenuto nella risoluzione Onu di condanna dell’aggressione a Kiev e da Algeria e Tunisia passano i cavi sottomarini che ci portano gas, elettricità e pure internet: rotte pericolose, su cui pullulano sommergibili, col rischio sempre in agguato di “incidenti” tra tubi, cavi telefonici e reti di trasmissione digitale in fibra che connettono il mondo e meritano sorveglianza massima per la sicurezza nazionale, come la terraferma. Lucio Caracciolo, direttore della rivista geopolitica Limes, ha definito la Sicilia la Taiwan dell’Ue per il crogiuolo di equilibri e interessi che vi navigano attorno.
Il timore è che Putin possa limitare la circolazione dei mezzi in mare in alcune ampie aree pesantemente difese da sistemi antinave e antiaerei. Inoltre l'adozione dei missili da crociera Kalibr, con gittata fino a 2.500 km, lo rende potenzialmente in grado di colpire infrastrutture civili e militari sul fianco sud della Nato, la Sicilia. Il più scoperto, per la neutralità del Maghreb e la strategicità delle forniture energetiche. Al momento, lo scopo di questa santa barbara è la deterrenza e non l’attacco. Questo, semmai, sarà economico e riguarderà appunto i flussi di commercio: le condutture di gas sotto il mare e, sopra, i prodotti e le materie prime via cargo. Già con le sanzioni ci siamo messi in ginocchio da soli, provocando le tensioni sui mercati e le ritorsioni sugli approvvigionamenti dal Nord Stream hanno fatto schizzare le bollette.
Per non parlare dei contratti, saltati, delle aziende che avevano nella Russia un partner. Mentre i singoli governi cercano ognuno a loro modo di correre ai ripari, la Nato risponde su un terreno operativo multidimensionale: mare, cielo, fondali. Lo schieramento non è da meno: tre unità navali, una decina di veicoli subacquei, le forze speciali del Comsubin, aerei ed elicotteri della Marina che possono investigare anche lo spazio subacqueo utilizzando sonar e boe. Ricognizioni ovunque, dalle tubazioni negli abissi ai velivoli nei cieli, giorno e notte: sono ormai 500 gli uomini della Marina italiana che vigilano, pattugliano e scandagliano ogni zona a rischio del Canale. Non è necessariamente una buona notizia: se l’attenzione è altra, significa che la minaccia è altissima.