Torino - Il lancio della bici dalla balaustra dei Murazzi del Po non fu «un gesto d’impeto», ma un’azione «preceduta da una fase preparatoria di cui tutti gli imputati sono stati consapevoli». È quanto scrivono i giudici della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui confermano le condanne per i tre adolescenti, all’epoca minorenni, che la notte del 21 gennaio 2023 ferirono gravemente lo studente di medicina Mauro Glorioso.
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Il verdetto chiude l’iter processuale per i minori, che stanno già scontando le loro pene: M.U. a 9 anni e 9 mesi, F.G. (il più piccolo del gruppo) a 9 anni e 6 mesi e D.T. (la ragazza) a 6 anni e 8 mesi. Potrebbe diventare a breve definitiva anche la sentenza di Victor Ulinici, il maggiorenne condannato a 16 anni di reclusione con rito abbreviato. Stessa pena è stata inflitta a Sara Cherici: la ragazza, anche lei maggiorenne, è stata l’unica a scegliere il dibattimento e per lei si profila il passaggio in Corte d’appello.
Per la Cassazione la ricostruzione di quella tragica notte, che ha segnato per sempre la vita di Mauro, è chiara. Soprattutto nelle fasi finali, quando il gruppo di amici raggiunge la piazzola che si affaccia sui Murazzi del Po, all’angolo tra lungo Po Cadorna e corso San Maurizio. È quello il momento in cui i tre ragazzi attraversano la strada, prendono la bici per poi tornare nella piazzola. «Le ragazze — si legge — seguivano fisicamente gli uomini, rimanendo poco indietro rispetto a loro, e osservando costantemente l’azione». La bici poi viene «sollevata a braccia alzate dai tre giovani maschi e scagliata di sotto, proprio sulle persone». A questo punto, proseguono i giudici, «i cinque ragazzi si sono tutti sporti oltre il parapetto per guardare di sotto e, dopo che D.T. ha urlato “scappa, corri”, si sono dati a repentina fuga».
Una sequenza che rende tutti complici, tanto da confermare la condanna per la minorenne per concorso morale. La stessa accusa di cui risponde l’amica Sara Cherici. Per la Cassazione, la 17enne «ha avuto l’immediata consapevolezza della reale gravità del gesto commesso, tanto da incitare gli altri a scappare». E un ulteriore elemento sono le poche righe che consegna al proprio diario il giorno dell’arresto: «Non eravamo tanto in noi, avevamo bevuto tanto e non mi ricordo chi aveva avuto questa idea, non volevamo ammazzare nessuno. Ci è venuta questa idea stupida». Parole significative — per i giudici — che dimostrano «la partecipazione» di D.T. «anche alla fase di ideazione all’azione che, anche solo con la mancata manifestazione del proprio dissenso, è stata avallata e sostenuta». E il fatto che «non abbia materialmente partecipato al lancio non rende diversa la natura dell’elemento soggettivo che l’ha animata». Da qui il concorso morale che pesa come un macigno anche nel processo che ha come protagonista Cherici: anche lei non ha toccato la bici.