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Il petroliere modicano Saro Minardo intervistato da Clandestinoweb



E' grosso modo quello che successe in quel periodo: gli arabi, principali produttori di petrolio, non ci pensarono due volte e bloccarono l’approvvigionamento per i paesi sostenitori degli israeliani, Stati Uniti in testa. Il risultato fu uno solo: gli Usa riuscirono ad andare avanti con le loro forze energetiche, mentre dall’altra parte del pianeta, in Europa (così come in Giappone), si sperimentavano “le domeniche a piedi”. L’oro nero iniziava a scarseggiare e si facevano avanti i petrodollari. E questo era solo l’inizio di un mercato che ha fatto tremare le borse di tutto il mondo e che, basta leggere i quotidiani, continua a farlo.
Che cosa voleva dire, all’alba degli anni Settanta, investire in un settore che sembrava un campo minato? Follia o fiuto per gli affari? Se lo sarà chiesto il presidente della Giap, società che commercializza prodotti petroliferi, Saro Minardo, che in quel periodo aveva un solo chiodo fisso: lasciare la campagna e dare una svolta alla sua vita. è così che è cominciata la sua fortuna. Modica, 1969. «Avevo da poco compiuto 18 anni ed ero disposto a tutto pur di abbandonare la vita da contadino», ricorda Minardo. «E così che presi la palla al balzo quando mi proposero di andare a lavorare presso una pompa di benzina. Guadagnavo una lira e mezzo per ogni litro venduto».
Da allora di strada ne ha fatta e passo dopo passo, l’imprenditore del Ragusano ha conquistato gli impianti di mezza Sicilia fino ad espandersi anche in Calabria e Campania.
«Tutto è iniziato con la costruzione del primo distributore, a Modica in contrada Sant’Antonio», racconta il presidente della Giap (società del gruppo Minardo), che insieme con i figli Raimondo Minardo, 38 anni, e Nino, 30, gestisce il patrimonio di famiglia. A dare una mano c’è anche la moglie, Concetta, una sorridente signora che si occupa di pubbliche relazioni. Dopo quasi quarant’anni, l’impianto è ancora lì e ha fatto da apripista agli altri che sono arrivati dopo. Per acquistarne uno ci volevano circa 2,5 milioni di lire. Oggi, in media, si spendono 700 mila euro per un impianto che vende un milione di litri all’anno. «Ma i prezzi cambiano a seconda di alcuni fattori», spiega Minardo. Che aggiunge: «Il metro di valutazione si misura sulla potenzialità di vendita». In altre parole, non si va a metro quadro come per le case o i terreni, ma a litro. «Un litro», aggiunge, «vale circa 70 centesimi.
Poi, per fare la stima di un impianto bisogna anche considerare se si tratta di un impianto su strada o in città (il cosiddetto impianto “da marciapiede”, ndr)». Tutte cose che Minardo conosce a menadito dal momento che il suo impero oggi conta oltre 200 distributori, 800 dipendenti nell’indotto, e vende i prodotti petroliferi sia ai semplici automobilisti che a grandi linee, cioè ai mezzi pesanti che si occupano del trasporto di merci (autolinee, cantieri di betonaggio, pompe di gasolio a uso esclusivo dei mezzi di azienda). «è stata una cosa graduale, anche perché dal 1971 in poi la Regione non ha dato più concessione per la realizzazione di nuovi impianti». Tradotto vuol dire che il numero di distributori è lo stesso da più di trent’anni e chi si è addentrato in questo settore ha sempre fatto affari su strutture già esistenti. Erano gli anni che precedettero lo shock petrolifero del ’73-’74, quando di punto in bianco il prezzo del greggio aumentò vertiginosamente per effetto della guerra arabo-israeliana. “Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. «Ogni tre anni», sottolinea Minardo, «la Regione redige un piano petrolifero che aggiorna le regole sulla sicurezza negli impianti». La svolta per Minardo è arrivata agli inizi degli anni Novanta, quando è stata siglata una joint-venture con i libici per vendere i loro prodotti nei distributori Giap. «Il primo accordo è stato con Tamoil», ricorda Minardo. «Ora ci sono anche Agip, Esso ed Erg».
Insomma, da benzinaio a re di un impero che muove un giro d’affari da 300 milioni di euro. La sua casa (una villa con piscina degna della copertina di una rivista di architettura) è proprio accanto ai suoi uffici. Casa e putìa. Perché Minardo, nonostante gli impegni, non si dimentica mai della famiglia e dei veri valori. Come ad esempio fare beneficenza. «Ogni anno», svela, «destiniamo una parte dell’utile in beneficenza». Qual è il segreto di questo successo? «Rimboccarsi le maniche», risponde. E subito incalza: «La gente di Ragusa è laboriosa». E, in effetti, basta fare un giro per i paesi della provincia per rendersene conto. Boom edilizio, turismo in crescita costante (complice anche l’eco della fiction sul commissario Montalbano), mercato creditizio vivace (la provincia iblea ha una banca tutta sua, la Banca agricola popolare di Ragusa che è anche uno dei pochi istituti di credito rimasti “siciliani”). Per non parlare di Modica, un gioiellino di città, famosa in tutto il mondo per il suo cioccolato artigianale. Ed è proprio qui che Minardo ha deciso di mettere in piedi il suo regno. Il quartier generale è alle porte di Modica: è da lì che gestisce il suo business.
Oltre al petrolio, la holding di famiglia si occupa anche delle strutture turistiche («ci sono due villaggi in costruzione a Marina di Modica e due alberghi», rivela) e delle sue televisioni locali (Teleradio Regione con i due marchi VideoRegione e BluTv) che si possono vedere nelle province della Sicilia orientale. Da qualche anno a questa parte, infatti, i suoi affari hanno preso la piega dell’editoria. Gli studios (dodici giornalisti assunti) ricalcano quelli di Mediaset, di proprietà della famiglia Berlusconi, di cui Minardo ha tanta stima. Lo scorso anno, poi, la Filgest (finanziaria a cui fanno capo le società del gruppo Minardo) ha acquistato Ergon srl, proprietaria dei marchi Ekma, istituto di ricerche e sondaggi, e Clandestinoweb, quotidiano on line di sondaggi e ricerche guidato dal direttore Ambrogio Crespi. La strategia di sviluppo di Ergon, inoltre, è stata affidata a Luigi Crespi. Un feeling con Forza Italia? Minardo non lo nega, ma non nasconde che a sinistra apprezza figure come Massimo D’Alema del Pd e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Fatto sta che l’amicizia che lega i Minardo ad Angelino Alfano, Gianfranco Miccichè e Renato Schifani, è così solida tanto che proprio loro hanno indicato il figlio minore di Saro, Nino Minardo, alla presidenza del Consorzio Autostrade Siciliane. Nino, trent’anni appena fatti, tra l’azienda di famiglia e la politica ha scelto la seconda. Sin da giovane ha frequentato sedi di partito e comizi. è stato anche indicato per risollevare le sorti della malandata fondazione Federico II. Alla fine Minardo jr, è stato eletto a Roma come deputato nazionale. Niente fondazione Federico II per lui, perché alla fine il decreto di nomina non è mai arrivato ed oggi il posto di direttore (ricoperto fino al patatrac da Alberto Acierno) è ancora vacante. Meglio così, direbbero alcuni, visto i guai in cui si trova l’ente culturale dell’Ars.
«Ma io ne sono certo: mio figlio avrebbe messo tutti in riga», asserisce Saro Minardo. Come dire, tale padre tale figlio…

Clandestinoweb


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