Attualità Scicli

Scicli, il Convento dei Cappuccini



Scicli - Il Convento e l'annessa chiesa dei Cappuccini si trova all'interno del complesso di Villa Penna.
La fondazione del convento risale negli ultimi decenni del '500 e le fabbriche presero consistenza nellla prima metà del '600, col supporto economico di Giuseppe Miccichè. Il terremoto del 1693 demolì solo in parte l'edificio, soprattutto la chiesa che sarà  ricostruita con una decorazione interna di stucchi settecenteschi.

All'interno dell'ex refettorio accoglie anche un cenacolo affrescato, di cultura popolare, mentre altri affreschi cinquecenteschi già strappati e restaurati si trovano oggi presso la chiesa di Santa Teresa.

La chiesa annessa, priva di volta, ricorda lo Spasimo di Palermo.

La struttura conventuale sita in quella che un tempo era la periferia di Scicli, ai piedi della collina di San Marco, nel XVII secolo visse un momento di intensa vita spirituale e di particolare prestigio culturale. Si distinse infatti per le opere di carità in occasione della peste del 1626 e del terremoto del 1693. La sua biblioteca era stata arricchita dalle donazioni dei nobili locali, i vari Giuseppe Miccichè, cui oggi è intitolata la scuola media, il dottor Guglielmo Peralta, padre Paolo Sammito.

La Villa Penna e il Convento dei Cappuccini, sono uno dei pochi esempi di architettura povera e semplice, rispondente ai canoni della regola francescana, sopravvissuta al terremoto del 1693. Il complesso fu abbandonato dai frati nell’Ottocento.

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L’immobile è organizzato con uno schema a “U” e il suo nucleo originario risale alla seconda metà del XVI secolo. Col terremoto del 1693 la chiesa e il convento furono notevolmente danneggiati, ma furono ben presto ricostruiti sia grazie alle ricche donazioni fatte dai fedeli, sia per la fortunata coincidenza della nomina da parte del Vescovo di Siracusa Francesco Fortezza del padre cappuccino di Scicli, padre Innocenzo, a visitatore dei monasteri della diocesi siracusana. Lo schema distributivo della chiesa e del convento rimase comunque quello del Seicento. 

Foto Luigi Nifosì


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