Cultura Siracusa

Giuseppe Bianca, l’uomo della mandorla di Avola che scriveva a Manzoni

Un convegno all’Archivio di Stato di Siracusa e una novità per gli studiosi



 Siracusa - Avola è stata il suo scrittoio.

Giuseppe Bianca, intellettuale, studioso, personaggio eclettico, illustre erudito avolese, l’uomo della mandorla, l’uomo della corrispondenza epistolare con Alessandro Manzoni.

Personaggio bufaliniano diremmo oggi: come Gesualdo Bufalino capace di leggere il mondo dalla sua Comiso, Giuseppe Bianca sceglie come torre d’osservazione Avola, senza mai uscirne, neanche per motivi di studio.

Nasce il 14 febbraio 1801 ad Avola Giuseppe Bianca e qui vivrà senza mai spostarsi fino al giorno della sua morte, il 12 novembre 1883.

Avola, alfa e omega di una vita.

“Ci sono tanti Giuseppe Bianca quante le persone che hanno avuto la fortuna di incontrarlo” ha esordito l’archivista Vanessa Leonardi al Convegno sui “Nuovi studi, attività e progetti archivistici nella Sicilia Orientale”, tenutosi il 23 dicembre all’Archivio di Stato di Siracusa, e presieduto dalla direttrice dell’Istituto, Olga Salemi.

Da venti anni il fondo Bianca è conservato presso l’Archivio aretuseo, dopo l’acquisto avvenuto nel 2004 e l’opera di inventariazione compiuta da Concetta Genovese.

Alcuni importanti documenti del Bianca sono stati esposti nelle teche dell’Archivio, che custodisce oggi le 17 buste, e i 115 fascicoli già riordinati dallo stesso Bianca rispetto ai 121 totali della prima serie: una fortuna per gli archivisti alle prese con documenti eclettici come il loro autore, che riordinò le sue carte dandone una sistematizzazione definitiva e autentica prima di morire. Purtroppo, lo stesso non può dirsi della biblioteca del Bianca, che non è arrivata a noi nella sua interezza.

Giuseppe nacque da Corrado Bianca e Anna Molisina, in una famiglia benestante. È un caso a sé nella storia della cultura meridionale.

Avviato agli studi umanistici e scientifici presso il convento dei Domenicani di Avola, proseguì seguendo studi di giurisprudenza, che abbandonò per riprendere e dedicarsi agli studi classici e poi scientifici.

La sua passione per la botanica nacque all'età di 33 anni quando era già un latinista e un letterato stimato al punto da divenire socio dell'Accademia Gioenia di Catania. Per oltre vent'anni si impegnò nella catalogazione di circa 800 varietà di mandorlo avolese, oltre che delle proprietà del carrubo e di molte altre piante e fiori locali. Anticipatore, per certi versi, del metodo positivo, collaborò con importanti antropologi, quali Giuseppe Pitrè.

Non a caso, come frutto dei suoi studi, pubblicò alcune monografie sul carrubo e sulla coltivazione del mandorlo in Sicilia nonché di una Flora dei dintorni di Avola (Catania, 1840).

Il tema del convegno promosso qualche giorno fa dall’Archivio siracusano è stato la fruibilità del fondo alla luce della lezione di Miryam Trevisan, per cui “l’archivio di una persona è una relazione di sé”.

E se gli archivi settecenteschi sono motivo di interesse per la contabilità e il patrimonio dei protagonisti, nell’archivio della persona emerge invece la personalità dello scienziato e del letterato, della figura umanistica “rinascimentale” nel nostro caso.

Giuseppe, l’autore del “Manuale della coltivazione del mandorlo in Sicilia”, è un intellettuale europeo, tutt’altro che chiuso culturalmente dentro il suo campanile, tanto da attirare l’attenzione di Angelo De Gubernatis che lo include nel “Dizionario biografico degli scrittori contemporanei” (Firenze 1879), mettendo in difficoltà il nostro.

Quando lo storico della letteratura italiana gli chiede un’autobiografia, Bianca va in crisi, si descrive umilissimo -narra Vanessa Leonardi nella sua relazione - manda poche righe, precisando di non avere titoli di sorta e producendo solo qualche pubblicazione all’indirizzo del suo interlocutore.

E tuttavia, la lezione del Bianca è storicamente importante perché, -come dice Sue McKemmish- “l’archivio privato è un genere di testimonianza”, racconta la storia di un territorio attraverso chi l’ha vissuto, e l’Ottocento di Bianca è un secolo complicato che egli attraversa da protagonista.

Per usare un’espressione cara al Bianca, spesso adoprata dallo stesso quando descriveva i mandorleti, il suo archivio ci fornisce “un colpo d’occhio” sul secolo: quell’archivio, come direbbe Elio Lodovini, “fa fede pubblica” perché Bianca attraversa i fatti storici del suo tempo restituendoci una sinossi della sua esistenza e dei suoi contemporanei.

Chi è dunque Giuseppe Bianca?

All’età di quattro anni viene instradato alle belle lettere, l’italiano, il latino, il greco e poi il francese, sotto la guida del sacerdote don Antonino Fardella, che lo introduce negli ambienti della società letteraria dell’Arcadia. I genitori vogliono che studi legge ma dopo un breve periodo allo studio legale dell’avvocato Lucio Bonfanti di Noto, Giuseppe decide di dedicarsi al mondo dei classici orientandosi a un enciclopedismo illuministico.

Legge Erasmo Darwin (nonno del più celebre Charles) e Giovanni Gussone, ricostruisce la propria genealogia familiare arrivando indietro fino a un Corrado Blanca, nel 1614, intraprende una carriera brillante, fatta di premi, partecipazione ad accademie, contatti con letterati e scienziati ma sempre improntati a una grande umiltà. Rifiuterà l’insegnamento perché privo di titoli, a suo dire.

La sua è anche una vita per la botanica. Dal 1839 al 1881 avvia un’intensa produzione bibliografica, partecipa all’Accademia Gioenia di Catania, alla Società Magnetica di Bologna, scrive a musei e orti botanici, lasciando nel 1852 la vita politica, ma non quella pubblica.

Già, la vita politica. Uomo di fede, cattolico e carbonaro, nel 1848 il Bianca si impegna attivamente negli avvenimenti politici dell'Isola: partecipa all'insurrezione di Avola contro il governo borbonico ed è segretario del comitato liberale locale. Dopo la Restaurazione però torna alla vita privata.

Dal 1852 in poi la sua produzione scientifica si accresce, scrive a Giuseppe Pitrè, occupandosi di antropologia, territorio, religiosità, storia locale, lingua e dialetto, pubblicando un catalogo bilingue dei nomi botanici delle piante e traducendoli in dialetto avolese, occupandosi della festa di Santa Venera.

Tuttavia è nel rapporto epistolare con Alessandro Manzoni che Bianca raggiunge forse il riconoscimento culturale più alto.

La corrispondenza tra Bianca e Manzoni è custodita oggi nella biblioteca Braidense di Milano.

Giuseppe traduce il “5 Maggio” in latino, ottenendo il plauso di Manzoni, segno della statura culturale del Bianca, della sua capacità di sguardo oltre il suo studiolo.

Ancora, in quegli anni Bianca indaga gli usi della popolazione di Avola, il mondo del lavoro, il linguaggio, fa una demopsicologia dell’epoca.

E in occasione dei tumulti di Siracusa del 1837, quando si diffonde l’idea che il colera si possa propagare grazie a un veleno, l’Intendenza di Noto gli chiede un occhio vigile sui tumulti di Avola, e -in maniera riservata- notizie sulla morale dei frati conventuali e infine se alcuni fra sei personaggi avolesi, individuati come sospetti, appartengano a società segrete.

Peccato che fra i sei ci fosse un “Giuseppe Bianco”, che il nostro individuò essere sé stesso.

Rispose: tranquilli, non sono un tipo sospetto.

Avola gli ha intitolato una scuola, la biblioteca nata grazie a una sua intuizione e gli deve ancora molto.
Se oggi la chiesa Cappuccini ospita la tela l’Esaltazione della Santa Croce, attribuita al pittore fiammingo Franz van de Kasteele, è grazie a Bianca che suggerì di tenere quell’opera in situ.

Giuseppe Bianca è morto mentre scriveva un’epistola in versi a uno dei suoi allievi.

Vanessa Leonardi ha chiuso il suo intervento presentando l’inventario digitalizzato di Giuseppe Bianca presso l’Archivio di Stato di Siracusa, dal 23 dicembre 2023 consultabile. 

Nelle foto, Giuseppe Bianca, Alessandro Manzoni, e, negli scatti di Marco Santuccio, Saro Cudia Acquanuvena, Vanessa Leonardi, la direttrice Olga Salemi, Valentina Sambataro, Concetta Lauretta e Luciano Buono.


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