Dallas - Paul Alexander, l'uomo che ha vissuto per per 70 anni dentro a un “polmone d'acciaio”, è morto all’età di 78 anni dopo aver trascorso quasi tutta la vita rinchiuso nella sua macchina di sopravvivenza. La triste vicenda ha avuto inizio nel 1952, quando da bambino contrasse la poliomielite, che lo paralizzò dal collo in giù. Da quel momento ha vissuto sempre in una sorta di gabbia di ferro che respirava per lui.
Nonostante la paralisi, Paul, conosciuto anche come “Polio Paul”, non si è mai arreso e ha sempre mantenuto il sorriso in tutte le sfide che ha affrontato: si è laureato, è diventato avvocato, ha scritto libri e ha viaggiato in tutto il mondo. Non ha mai voluto prendere in considerazione le nuove tecnologie che nei decenni sono stati svilupatti, ma è sempre rimasto fedele al suo polmone d'acciaio. La scelta non è stata sbagliata, basti pensare che Paul è sopravvissuto a entrambi i genitori e a suo fratello.
Nel 2015 la macchina ha avuto dei seri problemi, ma è stata riparato da Brady Richards, un tecnico che Polio Paul ha contattato tramite la rete. Durante gli anni dell'università, l'uomo ha conosciuto Claire, con la quale è stato fidanzato per alcuni anni.
Il “polmone d'acciaio” è una sorta di ventilatore, una grande scatola gialla di metallo, al cui interno deve sdraiarsi il paziente con il dispositivo fissato saldamente attorno al collo. Il macchinario è pensato proprio per soggetti la cui funzione respiratoria è compromessa a causa della poliomelite. Durante un ricovero, i medici hanno provato a far respirare Paul da solo, spegnendo la macchina e costringendolo a uscire, ma l'uomo è svenuto all'istante. Nonostante la disponibilità di ventilatori più moderni, Paul ha deciso di continuare a utilizzare il suo “polmone d’acciaio” a cui era ormai abituato.
Nella giornata di ieri (martedì 12 marzo), la pagina GoFundMe dedicata a Paul ha annunciato la sua scomparsa, avvenuta il giorno precedente. Anche il fratello Philip ha voluto rendere omaggio a Paul, ringraziando tutti coloro che hanno contribuito alla raccolta fondi e sottolineando l’impatto positivo che la sua storia ha avuto su molte vite.