Appuntamenti Scicli

Simonetta Agnello Hornby, l'avvocata della nostra scrittura

Martedì sera a Scicli

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Scicli - Martedì 12 Giugno alle 19 Simonetta Agnello Hornby presenterà a Scicli

a palazzo Spadaro “La cucina del buon gusto”

 (Feltrinelli, in collaborazione con Maria Rosario Lazzati).

Pubblichiamo qui parte della relazione di Giuseppe Pitrolo

 

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Nata e cresciuta a Palermo, Simonetta Agnello dopo aver conseguito il dottorato in giurisprudenza nel 1967 ha sposato l’inglese Mr. Hornby. Da allora ha vissuto all’estero, dapprima negli Usa e in Zambia, e dal 1972 a Londra.  

Nel 1979 ha fondato Hornby and Levy, uno studio legale, che ben presto si è specializzato nel diritto di famiglia e dei minori. Hornby e Levy sono stati il primo studio d’Inghilterra a creare un dipartimento riservato ai casi di violenza all’interno della famiglia.
                      La maggior parte dei clienti dello studio è caraibica o nera; e nel 1997 Hornby & Levy ha pubblicato in un libro, The Caribbean Children’s Law Project, il risultato della ricerca condotta da quattro membri dello studio legale in Giamaica, Trinidad, Barbados e Guyana, sul diritti dei minori e sulle strutture per i minori. Il libro è tuttora l’unico lavoro del genere al mondo.
                      Simonetta Agnello Hornby ha insegnato diritto dei minori all’università di Leicester ed è stata presidente dello Special Educational Needs and Disability Tribunal.
                      Nel 2000 ha iniziato a scrivere romanzi, finora tradotti in 25 lingue.

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Siamo qui per presentare “La cucina del buon gusto”, ma prima, come nei migliori romanzi, “facciamo un passo indietro”, ricordando “La mennulara”, scritto, dopo una folgorazione in aeroporto, fra il 2000 e il 2002; un romanzo pensato, visto per scene come un film e con la copertina di Piero Guccione: “Ramo di mandorlo”.

Si poteva magari pensare che l’avv. Agnello Hornby fosse la classica autrice unius libri, e invece nel 2004 S. Agnello Hornby pubblica “La zia marchesa”, ambientato sempre in Sicilia, nel secondo Ottocento: il romanzo più vicino al suo cuore, scritto per liberarsi da un “cutugno”: “Ho parlato del torto che fu fatto a una mia antenata, poiché era vista come una diversa da tutta la mia famiglia. Aveva i capelli rossi, dicevano avesse un aspetto mascolino, era grossa e dicevano sembrasse una contadina. Cucinava, puliva e andava a cavallo. Pensavo di non poter vivere con questa ingiustizia in famiglia, e poi è successo che un giorno è come se lei fosse tornata nella mia memoria e mi avesse chiesto ‘scrivi la mia storia’”: per l’Agnello Hornby la scrittura nasce dal bisogno di risarcire: risarcire una donna, dei bambini, la nonna Maria. In questo libro si può notare una presenza più significativa del dialetto.

Dopo “La zia marchesa” la Agnello Hornby avrebbe voluto scrivere un romanzo ambientato nell’altra sua patria, cioè a Londra, e in epoca contemporanea, ma il suo editor Alberto Rollo della Feltrinelli le disse: “Tre è un bel numero”, e così lei ha scritto il terzo capitolo della sua trilogia siciliana, cioè “Boccamurata” (2007), ambientato in Sicilia ai nostri giorni: al centro le intricate vicende, fra interessi e passioni innominabili, di una famiglia benestante, ovvero la costante – per gli scrittori siciliani e per la Agnello Hornby - della famiglia.

Nei primi tre romanzi ci muovevamo in Sicilia, dall’Ottocento alla prima metà del Novecento ai nostri anni: nel 2009 la scrittrice cambia location conVento scomposto” («Una definizione di mamma: quando la biancheria stesa ad asciugare s' ingarbuglia, allora lei dice che c'è un vento scomposto»), romanzo sulla tematica dell’abuso ambientato nella Londra contemporanea, multietnica e neo-dickensiana ben conosciuta dalla Agnello Hornby, fra assistenti sociali, avvocati, alti borghesi. “Vento scomposto” viene scritto prima in inglese (“There is nothing wrong with Lucy”, “Lucy sta benissimo”) e poi viene “riscritto” (?) in italiano.

Del 2010 è “Camera oscura” (Skira), indagine su Lewis Carroll, l’autore di “Alice nel paese delle meraviglie”, racconto detection che nasce dalle foto e dalle lettere di Carroll, probabile (più che presunto…) pedofilo: a proposito del quale e del regista Polanski, anche lui coinvolto in un caso di pedofilia, l’Agnello Hornby ha detto: “Un reato è un reato, non c’è prescrizione. Polanski deve pagare la sua pena. La madre della ragazza? Il “consenso” arriva molto spesso. Oggi avviene con le veline, le attrici o pseudo-tali. Le famiglie mandano le figlie in pasto ai produttori”.

Sempre del 2010 è “La monaca” (in copertina un “Mare” di Piero Guccione), ambientato a metà Ottocento, in epoca risorgimentale, fra Messina e Napoli, variazione sul tema della monacazione forzata (di Agata) e della donna capace di affermare se stessa, con uno sguardo alle “eroine di Jane Austen” e basato su una ricchissima documentazione che l’autrice sa ben conciliare  con l’invenzione. 

Con “Un filo d’olio” (Sellerio, 2011), la Agnello Hornby scrive il suo “Lessico famigliare” e il suo “Vestivamo alla marinara”, cioè ci racconta le sue lunghe estati – da maggio a ottobre – degli anni Cinquanta alla villa-masseria Agnello di contrada Mosè (vicino ad Agrigento) e anticipa “La cucina del buon gusto”. L’originalità del libro, che si discosta da altri analoghi, è il punto di vista del narratore, infatti predomina la narrazione straniata della Simonetta bambina che, spesso, guarda e osserva, ma misunderstands, non comprende… Nel corso del libro comunque crescerà, passerà da osservatrice a “attrice”.

Il libro, in fondo, è una raccolta di racconti, fortemente e reciprocamente organici, in cui anche gli aneddoti familiari tante volte ri-raccontati si incastrano armoniosamente.

Altro motivo di originalità del volume è la struttura: il libro nasce dal quaderno di ricette della bravissima nonna Maria, scomparsa quando la nipote Simonetta aveva un solo anno: quindi la seconda parte di “Un filo d’olio” è la riproposizione – a cura della sorella Chiara Agnellodelle ricette della nonna. Con questa inedita combinazione libraria le sorelle Simonetta e Chiara ripetono i pomeriggi culinari della mamma “Elenù” e della zia “Teresù”, che insieme cucinavano gustosissimi dolci, e allo stesso tempo risarciscono il ricordo della nonna Maria. Il cucinare diventa un modo per ritrovarsi, e per ritrovare affetti, ricordi, sapori,…

Il libro esalta i talenti femminili (dal cucinare al cucire): era la civiltà della cura, dell’attenzione, dell’understatement, dell’eleganza (un filo d’olio e un filo di perle…), della trasmissione dei saperi dalle madri alle figlie, dalle nonni alle nipoti: era una “civiltà della cura” che la Agnello Hornby riversa nel lavoro e nella scrittura.

Regna il sensismo dell’autrice, che scrive continuamente di odori, colori, sapori; che descrive di scorcio i personaggi ma è precisissima nella spiegazione delle procedure e delle ricette.

Scopriamo l’antica vocazione della autrice per l’affabulazione e il patrocinare, la necessità di raccontare, che nasce in lei nelle estati a Mosè e che la condurrà “all’affascinante mestiere di scrivere”.

Una scrittura finalizzata a dare speranza.

HA DETTO

“Qualche anno fa mi presentarono un signore, mi dissero "questo è un tuo collega". E io subito a domandargli: "lei cosa fa, civile o penale?". L' avevo preso per un avvocato. Quello mi rispose "signora Hornby io scrivo libri, sono uno scrittore. Come lei".”

“Posso dire che vorrei essere un modello per la donna post-menopausa? è importante, sa? Siamo circondate da veline, c'è l' obbligo dell' eterna giovinezza plastificata. Fa bene vedere che c' è qualcosa da fare al mondo, trovare dei punti di riferimento. Le donne hanno tante risorse, ma hanno bisogno di più fiducia per trovarle dentro di sé”

“C' è una decadenza che coinvolge tutto il mondo occidentale. Ma qua in Sicilia c'è un indebolimento delle istituzioni che fa paura. L' economia va tanto male, e manca una consapevolezza che aiuti a uscire da una crisi che coinvolge tutti gli aspetti della vita. Si va avanti come se niente fosse: nella mente della gente non ci sono più le cose giuste e quelle sbagliate, separate e distinte fra di loro”

“Non c' è il concetto di giusto e sbagliato, c' è un abbassamento del senso etico collettivo che trovo sconvolgente. Avviene ovunque, la crisi non è solo economica ed è globale. Ma qua è come se fossimo senza anticorpi”

“Cosa abbiamo in comune siciliani e inglesi?

Siamo delle isole, non parliamo facilmente dei nostri sentimenti, siamo tutt'e due popoli un po' ossessionati dalla paura di essere conquistati, noi siciliani per ragioni comprensibili, perché siamo sempre stati dominati. Abbiamo un grosso senso del clan. Gli inglesi hanno il senso dell'umorismo e noi del sarcasmo. E poi ad accomunarci c'è l'amore del silenzio: gli inglesi e i siciliani parlano poco” 


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