Cultura Scicli

Vinicio Capossela: Quando Hemingway incontra il Gioia di Scicli

L’intervista di Elisa Mandarà

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Scicli - Di bianco vestito, è accolto da un pubblico già caldo, questo cow boy tutto latino. Ondeggia al ritmo ruffiano di beguine, simbolico "omaggio floreale alle donne" e avvio di una cascata intelligente e lieve di metafore poetiche e sorridenti, come quelle pistole tutte virtuali che s'inventa tra le dita, in sintonia ‘atmosferica' con la location, perché, lo dice a esordio sul palco, "neanche Sergio Leone avrebbe saputo creare una piazza più western di questa".

La piazza alla quale ammicca Vinicio è sciclitudine pura. Sono oro le lucette poggiate sulle rocce di Chiafura, mentre il fantasma barocco di San Bartolomeo s'allunga fino alle vette celesti della notte, suggestivo contraltare per Vinicio e la sua brillante e sempreverde Banda della Posta. Soffia una brezza piacevole, quella che ha temperato le violenze dello scirocco, soffia sulle tremila presenze intervenute a fare festa, nei toni mischiati che le belle alchimie di Capossela sanno creare, quando l'artista getta un ponte tra sacro e profano, tra tradizione letteraria colta, che alimenta di poesia e visionarietà la poetica del cantautore, e sonorità facili popolari, quelle capaci di parlare universalmente alla sensibilità. Sono di cristallo le lacrime che bagnano la rosa di Oscar Wilde, di "raso turchino" i sogni su cui è incisa la Manuela di Rocco Granata, commoventi le ballate lente. Ma il registro che supera ogni altro tono è quello vitalistico della gioia. Spinge alla danza, il nostro Vinicio, al "Fuego" del suo tango, quando invita il pubblico maschile all'accesso di "sangue agli occhi": "siate virili, ballate con la donna". E allora, ecco impazzare l'effetto-Vinicio, e la Cava San Bartolomeo si trasforma in un popolo ballante, che si lascia travolgere dal twist, dalla impareggiabile taranta, dalla quadriglia, dal fox trot: "Portiamo in giro, in questo agosto, una banda che suona musica da matrimoni, e questo vuole essere uno sposalizio con la vita. Integriamo con pezzi ballabili tratti dal mio repertorio e dalla migliore tradizione dei cantanti dell'emigrazione ferroviaria degli anni 70, come il grande siciliano d'origini Salvatore Adamo, come Rocco Granata, i Barritas, un gruppo sardo degli anni 70. Facciamo un concerto che credo sia profondamente gioioso, in un paese che ha eletto a suo santo protettore la Gioia". Ce le spiega Vinicio, le linee ideali ed emozionali dello show, che al suo dialogo consueto con la letteratura e col cinema, preferisce, oggi, la scommessa sulla cultura musicale popolare.
Non trova motivo di allarme nessuna preoccupazione, legittima quando una città si trova a contenere, in uno spazio arioso ma pur sempre limitato, migliaia di ospiti; dopo il la al concerto, le forze dell'ordine vigilano sugli entusiasmi sereni, mentre si rasserena pure Marcello Cannizzo, organizzatore della kermesse, dopo i chilometri su e giù, come da astanteria di sala parto. L'evento è un successo pieno, per numeri e qualità, e gli entusiasmi contagiano tutti, il sindaco Susino e l'assessore Iurato, rappresentanti del Comune di Scicli, che ha contribuito alla serata. Alla cittadina iblea corre l'omaggio primo e ultimo di Capossela, che, con la banda della Città, diretta dal maestro Carmelo Magro, si congeda col brano composto in onore dell'Uomo Vivo e con la marcia pasquale: simbolici auspici, questi, a una resurrezione nazionale, in tempi così oscuri.

Il messaggio nella bottiglia? E' la bottiglia!

Valeva la pena di aspettarlo, tra le luci basse dell'al di qua del palco, che celavano a stento la luce bianca di questo divo-antidivo, e le atmosfere magiche della roccia di Chiafura, complice il gigante San Bartolomeo, un momento prima del concerto, un istante prima che dilagasse la piena di ‘gioia', che è stato il filo rosso di questa notte specialissima iblea, animata dal calore positivo di Capossela. Gioia come aggancio alla cultura popolare profonda di Scicli, a una tradizione festiva che vive della vita della collettività. E ‘gioia' come festa, come la musica che porta una felicità all'anima e ai sensi, alle persone raccolte gaiamente in folla. Boutade prontissima, registro primariamente elegiaco, la conversazione con un Vinicio Capossela assai ispirato corre sul filo lieto dell'immaginifico e del racconto, relativo a un percorso sintetizzato dalle tappe stesse della sua creatività.
Ci rivolgiamo anzitutto a Vinicio poeta. Il suo percorso artistico testimonia un legame duraturo e ininterrotto con la letteratura. Che valore assegna alla poesia, nella creazione della sua musica?
"La letteratura è proprio la parte che l'uomo sublima da sé, fa questa combustione e il gas che rimane nell'aria è la letteratura. Noi lo aspiriamo e ci mondiamo della parte più pesante di noi, trasportati dalla leggerezza della letteratura, che, dunque, è il nostro accesso alla portabilità dell'anima".
Divertissement, art pour l'art, impegno civile: a quale di questi ingredienti, tutti compresenti nella sua musica, affida il suo messaggio nella bottiglia?
"Il messaggio nella bottiglia… è proprio nella bottiglia (allude, ridendo, a quella di vino, n. d. r.), nel senso che io… attingo direttamente alla bottiglia, perché è la bottiglia che è causa del messaggio".
I luoghi non sono scatole neutre, spazi inattivi. Quanto contano le suggestioni rimandate dai siti in cui opera? E Scicli, quale l'origine della fascinazione che ha ricevuto da questa gemma iblea?
"Scicli è patrimonio dell'umanità, dunque è patrimonio anche mio. Un patrimonio in cui sono incappato una sera, perché mi sono sempre interessato delle ritualità, delle tradizioni, dell'immanenza del sacro, di ciò che permane del sacro nelle culture tradizionali. E, venendo per ammirare e studiare la Madonna Vasa-Vasa di Modica, finii per incappare nel Gioia, nell'Uomo Vivo di Scicli. Quindi, prima ancora che Scicli, io scoprii questo suo ‘portavoce da corsa'. E mi sentii un po' come Hemingway, quando, negli anni Trenta, arrivava in certi paesini sperduti della Spagna, dove vedeva le corse dei tori, che parevano celebrare una sacralità antica, rinnovandola. Per usare le parole di Vitaliano Brancati, qui troviamo un misto di gallismo, paganesimo, euforia religiosa. Queste furono le prime cose che mi avvicinarono a questa manifestazione rituale. Poi venne il paese, con questa natura magnifica: se io fossi un regista girerei qua il mio ‘western metafisico', perché è oltre Leone. Questo è un western che dovrebbe avere a che fare con le ritualità ancestrali mediterranee; qua si fonde tutto, dalle ritualità più antiche".
Ci racconta com'è nata la sua liaison con Scicli?
"Qualche anno fa ho fatto un pezzo che mi ha reso quasi paesano di questo magnifico luogo che è Scicli. Stasera io ricambio, come si fa coi gemellaggi di paese, portando la Banda della Posta, di Calitri, che venera un santo diverso dall'Uomo Vivo, ma sempre attraverso processioni ‘da corsa', che hanno a che fare con la vita, dunque con l'Uomo Vivo. Gioia a tutti! Questo non è un tour, ma è una corsa, una corsa verso la gioia".
La sua ultima ricerca si è rivolta alla Grecia. Ibleide, con Scicli, è Magna Grecia. Ha potuto constatare una continuità culturale e antropologica, tra questi due ‘continenti' storicamente contigui?
"Non ci scordiamo che in greco ‘Magna Grecia' si dice ‘Megale Ellas', che significa ‘Grande Grecia', non è ‘magna', che sembra significare qualcosa di molto esteso e basta. Qui è tutto manifestazione di una sacralità antica e soprattutto del gusto del simposio. Io ho fatto un libro, un film, ho realizzato ‘Rebetiko Gymnastas', un disco greco: tutto uno studio. E ora sto suonando con la Banda della Posta. Cosa lega queste esperienze? Sono tutte occasioni di creare comunità. Questo deriva dalla Magna Grecia, dal fatto che la gente, mangiando e bevendo, facendo simposio, va oltre se stessa e costruisce una comunità".

La Sicilia

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Foto Valentina Mazza


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