Cultura Lettera a Repubblica

Mio padre, Beniamino Placido

Per lo Stato italiano il nostro caro Ben non è ancora morto

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Giovedì sarà passato un anno dalla morte del nostro Beniamino . Ci sono anniversari più confortanti da ricordare, ma forse è proprio perché si tratta di un anniversario triste e melanconico, che ho pensato che avrebbe fatto piacere a tutte le persone che sono state così vicine a Ben o a me, ricordarlo assieme, e sapere come è passato quest'anno. Iniziamo mettendo subito le cose in chiaro: per lo Stato italiano il nostro caro Ben non è ancora morto. Malgrado molteplici certificati (scritti, trascritti, verificati e riscritti) da autorità britanniche di ogni genere e tipo, il comune di Roma (cui questi documenti vengono regolarmente inviati e rinviati tramite il consolato) è ancora in procinto di registrarne la morte. Sembra che il numero di timbri necessari per concludere questa 'pratica' aumenti ogni mese. E così andiamo avanti. Mi chiedo spesso se papà di questi ostacoli burocratici avrebbe riso. Non lo so, non credo (dopo un po' la ripetizione stufa). Ma penso divertita a una mattina di tanti anni fa in cui mi chiamò qui a Cambridge per dirmi che per la prima volta da quando era arrivato a Roma nell'immediato dopoguerra era riuscito a fare tre cose in una sola mattina (banca, commercialista, anagrafe). Ma d'altra parte, anche io non sono poi così veloce. Papà è ancora qui con me, letteralmente, nel mio studio. Le sue ceneri in una cassetta di legno racchiusa in una borsa di stoffa. Ci siamo ripetutamente chiesti, dopo la morte di papà dove sarebbe stato più opportuno seppellirlo. Il cimitero di Orbetello sembrava il posto più ovvio. Sono lì seppellite sua madre, nonna Maria, e sua sorella, Lucia. Orbetello è un luogo cui papà era molto legato, dove abbiamo passato tanto tempo, dove continuiamo a tornare, dove sarebbe stato possibile andarlo a visitare spesso. Ma mio papà è morto qui. Chi di voi ha avuto occasione di andarlo a trovare prima che partisse per Cambridge, sa che papà partiva per non tornare indietro. Rimandarlo indietro mi è parso ingiusto. Dopotutto, una delle molte ragioni per cui mi sento profondamente orgogliosa di lui è proprio il suo aver avuto il coraggio, a ottant'anni, malato, gracile, stanco, di trasferirsi qui. Di cambiare casa, città, nazione. Profondamente orgogliosa, infinitamente grata. Non avrebbe potuto fare a me (e ai suoi nipotini) un regalo più bello. Papà è venuto a stare, e a morire, da noi. Mi sembra giusto quindi che qui con noi rimanga. Così come è giusto che tante delle sue cose siano state distribuite tra persone amiche. Chiudere una casa non è cosa facile. Chiudere via delle Isole non è stato, però, troppo triste. In parte perché così tante persone mi hanno aiutato - nell'impacchettare libri, piatti, vestiti, quadri e molto altro. E mi rallegra sapere che alcune di questi oggetti sono andati a stare nelle loro case. In parte perché - cosa di cui mi ero, negli anni, dimenticata - papà era di un ordine meticoloso, ossessivo, stupefacente. Come sia riuscito a sopravvivere al disordine mio, di mia madre e, negli ultimi anni, di Aida non lo so. La maggior parte dei libri di papà, quelli della casa della Giannella, sono ormai da anni in parte qui in Inghilterra con noi, in parte all'Università di Siena. Quelli di Roma hanno trovato altre collocazioni. Sono stati mandati in parte alla biblioteca comunale di Orbetello, in parte da Monsignor Ravasi, in memoria di quel lungo periodo in cui Ben passava tutti i sabati mattina alla Gregoriana. L'appartamento di Cambridge è stato anche quello svuotato. E così, svuotata prima una casa e poi un'altra, siamo arrivati alla primavera. E il sogno che mi ha ripetutamente rattristato durante questo lungo inverno - in cui papà tornava (a via delle Isole, o a Cambridge, o a via Alberico, o alla Giannella) e io mi trovavo a dovergli dire che la sua casa non era più pronta, perché l'avevo svuotata - ha preso un'altra forma. Improvvisamente, ho sognato che papà tornava. Arrivava qui, a Cambridge. La casa era stata sì svuotata, ma io gli dicevo, non importa, adesso iniziamo tutto da capo, non è poi così difficile. E lo potevamo accogliere, sereni. Ben e Leo hanno iniziato a parlare con più tranquillità del nonno, senza il timore di farmi intristire. Ci sono stati i mondiali. Quanto ci saremmo divertiti a vederli assieme. Sarebbe stato contento il nonno della vittoria della Spagna? Pensiamo che il nostro Placidín ne sarebbe stato felice. C'è stato Wimbledon: Nadal o l'infortunato Federer? Non siamo sicuri. E così, pian piano, abbiamo iniziato a ricordarci assieme delle buffonate e dei tremendi dispetti e mascalzonate che faceva il nonno (a chi non ne ha fatte?). Adesso possiamo anche prenderlo un po' in giro, il nonno, persino per alcune di quelle stranezze causate dalla sua lunga malattia. La tristezza e la nostalgia rimangono. Leo ha detto che avrebbe voluto scrivere a Babbo Natale chiedendo, come regalo per la sua mamma, di far tornare un po' il nonno, perché sa che questo la farebbe contenta. Ma sa che Babbo Natale (sulla cui esistenza quest'anno in questa casa si è discusso parecchio, così come sulla questione di dove è esattamente il nonno adesso) una cosa del genere non la sa fare. Quindi ha pensato invece che avrebbe potuto mandare una lettera al nonno per augurargli Buon Natale. L'idea ha certamente rallegrato e intenerito la sua mamma. E il nonno avrebbe apprezzato, lui che adorava il Natale. E poi quest'anno è finito. Abbiamo passato il Capodanno a casa, proprio come avrebbe fatto il nonno. Guardando un film dei Fratelli Marx, che avrebbe certamente divertito molto anche il nonno. Ma se sabato è iniziato un nuovo anno, il 2011, il giorno della Befana inizierà per noi un nuovo anno in un altro senso. Un anno dalla morte 'del suo adorato papà di Bibi'. All'alba del 6 gennaio dell'anno scorso, quando ormai non c'era più nulla da fare - papà era stato portato via, i bambini ancora dormivano, era troppo presto per chiamare chiunque - mi ricordo di aver tentato inutilmente di dormire. Mentre invece, in uno stato di stordito dormiveglia, continuavo a dirmi che se non mi fossi addormentata sarebbe ancora stato quel giorno in cui mio papà era ancora vivo, e quindi, in qualche modo, non era vero che era morto. Domani sera, finirò forse per fare lo stesso - per cercare di rimanere sveglia pensando che se non mi addormento sarà ancora parte di quello stesso anno in cui il mio papà era ancora vivo. E quindi, forse, come vorrebbe il Comune di Roma, il caro Ben non è veramente morto (che ci sia qualcosa di terapeutico nella caparbia, sadica, indolenza della burocrazia italiana?). Ma invece sono contenta di pensare che probabilmente domani dormiremo tutti, che il 6 mattina ci sveglieremo e, è questo il piano, mentre i bimbi sono a scuola, andremo con Robert a vedere il luogo dove il nostro Ben troverà riposo. Un parco a pochi chilometri da Cambridge. Niente insegne, niente tombe, niente bare. Solo le ceneri, gettate sotto terra. Per distinguere il luogo, una pianta. Avrei voluto mettere una mimosa (papà ce le mandava sempre, ogni 8 marzo), ma qui in Inghilterra non crescono rigogliose. Pianteremo probabilmente un albero di amarene. Come quello fuori dalla mia finestra nella casa di Giannella, che papà amava tanto. Unico dubbio, il ricordo di quanta ansia suscitava in papà il numero di cachi che cadevano ormai inutilizzabili dall'albero nel suo giardino di via delle Isole. Non vorrei che le amarene dovessero causare (in me) la stessa ansia. Mi ripropongo, quindi, di andarle, quando è stagione, a raccogliere. Per farne della marmellata. Se vi dovesse quindi capitare, in futuro, di ricevere delle piccole marmellate di ciliegia, saprete da dove vengono. Dono di Ben Sr.
 

Un abbraccio e grazie per esserci stati vicino, Barbara Placido

Nella foto, Placido con Serena Dandini


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