Ragusa - Si scherzava sul fatto che i bambini hanno – almeno questi moderni – caratteristiche proprie e molto ben sviluppate, certamente evidenti (non che quelli che fummo bambini cinquanta e passa anni fa non avessimo nostre proprie caratteristiche, appare evidente, solo che non eravamo in grado di estrinsecarle, “oscurati” come eravamo da genitori rigidissimi e totale ed indiscusso rispetto per i più grandi).
Tra le altri caratteristiche, era messa bene in evidenza quella di mio nipotino Edoardo, sette anni appena compiuti, ma già da adesso chiaramente tombeur de femmes. Micidiale. Non gli resiste nessuna. Qualche che sia l’età (si intende dai tre ai dieci anni) sono tutte sue prede se solo ne vengono in contatto. Insomma, un playboy in sedicesimo, un vero e proprio fimminaru per dirla in vernacolo.
E proprio usando la lingua dei nostri padri, una mia anziana zia, ultraottantenne, osservando e giudicando le imprese di questo suo pronipote erede di Priapo (almeno in potenza), lo ha ammirato (soprattutto per dare il giusto merito al papà di Edoardo, il mio primo cugino Turi che non sta più nella pelle davanti alle “imprese” del figlioletto spietato castigatore), ma anche ammonito a “nun gghiucari ccu troppi mazzi ri carti”, secondo la antica saggezza dei nostri predecessori, che, pur ammettendo si possa essere fortemente attratti dall’altro sesso, è sempre bene essere fedele, almeno “temporaneamente”, infine riconosciuto come “ricuttaru”.
Cosa c’entrasse il fatto che Edoardo sia fimminaru con l’essere ricuttaru, in tutta onestà, non l’ha capito nessuno della famiglia. Almeno fin quando non è intervenuto un altro anziano zio, di quelli tenuti in alta considerazione in famiglia perché “fici i scoli iauti” (avendo addirittura un bel diploma di ragioniere, che preso negli anni quaranta era davvero gran bella soddisfazione per il parentado tutto) ed è quindi un intellettuale al quale ci si rivolge per chiarire i dubbi. Ed anche questa volta l’anziano parente ha meritato sul campo i suoi tanti galloni di merito, perché ci ha spiegato che gli antichi ragusani definivano “ricuttaru” i fimminari. E la spiegazione ha dell’incredibile (almeno per chi come me ha tanto interesse a studiare le antiche nostre tradizioni).
Pare infatti che “ricuttaru” sia parola che – direi ovviamente – nulla abbia a che spartire con il pur nobile e ormai quasi del tutto scomparso mestiere del massaro che produce la ricotta fresca o in alternativa di chi – anche questo mestiere quasi completamente dimenticato – è venditore del prodotto caseario bensì, chiedo l’attenzione dei mie quattro lettori, è solo e soltanto la secolare corruzione siciliana dell’italiano “Enrico ottavo”, laddove si intende proprio quell’Enrico, quel Re d’Inghilterra (tra l’altro, per rispetto alla mia smania di ricordare gli anniversari, era nato esattamente cinquecentoventi anni fa a Greenwich famoso per tanti motivi e, su tutti, per la sua “collezione” di mogli (quelle portate all’altare furono sei) che spiega anche la sua fama giunta fino in Sicilia e alla base di quel “ricuttaru” adesso affibbiato a mio nipote Edoardo (che, ma si tratta di pura coincidenza, era anche esso nome di molti monarchi albionici).