Ricordiamo in questa occasione un triste (per noi siciliani) anniversario. Ovvero il 212 avanti Cristo. Anno in cui Roma conquista Siracusa, e con essa, ultima roccaforte greco-siceliota, l’intera isola di Sicilia.
Durante il regno di Gerone II, tra Roma e Siracusa era stato firmato un trattato di pace, che significò per la città siciliana garanzia di pace e prosperità per lungo tempo. Tuttavia, alla morte di Gerone II, subentrò il nipote Geronimo alla guida della città. Appena quindicenne e quindi impreparato ad affrontare le giuste scelte politiche, commise il grave errore di rompere immediatamente il trattato con i romani per allearsi con i Cartaginesi. Ma Geronimo morì in una cospirazione per mano di Dinomene. Succedette così Adranodoro il quale mantenne per breve tempo il potere per poi cederlo facendosi nominare Generale. Subentrarono così i fratelli Ippocrate ed Epicide a difesa della città. Con la rottura del trattato il Senato romano votò la guerra contro Siracusa. L’incarico di conquistare la città fu affidato al console Marcello che con un congruo numero di forze di terra e mare, assediò la città.
Durante l’assedio Ippocrate cercò rinforzi cartaginesi presso Eraclea Minoa ottenendo alcune vittorie contro i romani, Epicide invece rimase a Siracusa mantenendo sino all’ultimo una strenua difesa. Siracusa possedeva 27 chilometri di mura costruite all’epoca di Dionigi primo, che le garantivano una completa difesa, sia per mare che per terra. Il compito di Marcello era arduo. “I Siracusani, quando videro i Romani investire la città dai due fronti, di terra e di mare, rimasero storditi e ammutolirono di timore. Pensarono che nulla avrebbe potuto contrastare l’impeto di un attacco in forze di tali proporzioni” (da “Vite parallele” di Plutarco). A difesa della città, vi era un valoroso esercito ben equipaggiato nonché l’ingegno di Archimede con le sue invenzioni. Proprio in quella occasione, infatti, il genio siracusano preparò la difesa tramite mezzi allora innovativi come la balestra, la catapulta e lo scorpione. Ma anche altri mezzi come la manus ferrea e gli specchi ustori, con cui si dice mise in seria difficoltà gli attacchi romani, sia per mare sia per terra. “I Romani, allestiti questi mezzi, pensavano di dare l’assalto alle torri, ma Archimede, avendo preparato macchine per lanciare dardi a ogni distanza, mirando agli assalitori con le baliste e con catapulte che colpivano più lontano e sicuro, ferì molti soldati e diffuse grave scompiglio e disordine in tutto l’ esercito; quando poi le macchine lanciavano troppo lontano, ricorreva ad altre meno potenti che colpissero alla distanza richiesta. [...]Quando i Romani furono entro il tiro dei dardi, Archimede architettò un’altra macchina contro i soldati imbarcati sulle navi: dalla parte interna del muro fece aprire frequenti ferritoie dell’altezza di un uomo, larghe circa un palmo dalla parte esterna: presso di queste fece disporre arceri e scorpioncini e colpendoli attraverso le ferritoie metteva fuori combattimento i soldati navali. [...]Quando essi tentavano di sollevare le sambuche, ricorreva a macchine che aveva fatto preparare lungo il muro e che, di solito invisibili, al momento del bisogno si legavano minacciose al di sopra del muro e sporgevano per gran tratto con le corna fuori dai merli: queste potevano sollevare pietre del peso di dieci talenti e anche blocchi di piombo. Quando le sambuche si avvicinavano, facevano girare con una corda nella direzione richiesta l’estremità della macchina e mediante una molla scagliavano una pietra: ne seguiva che non soltanto la sambuca veniva infranta ma pure la nave che la trasportava e i marinai correvano estremo pericolo.” (da “Le storie” di Polibio). A fronte di sforzi vani, Marcello decise di mantenere il semplice assedio, provando a stritolare la città. L’assedio si protrasse per un anno e mezzo.
A Siracusa esplosero i contrasti e malumori tra il popolo. La parte filoromana sosteneva la possibilità di migliori condizioni di vita cedendo il regno ai romani, mentre la restante parte proponeva la difesa ad oltranza. Un gruppo di cittadini tradirono la causa della città. Dopo frequenti contatti con le truppe romane, fu organizzato il tradimento. Nell’anno 212, dopo una festa in onore di Diana, in piena notte furono aperti i cancelli della zona nord della città, consentendo alle truppe romane di entrare devastando e saccheggiando la città. Ma Siracusa non fu subito conquistata perché mancava ancora da espugnare l’isola di Ortigia, molto ben protetta. Epicide richiamò in soccorso il fratello, che col sostegno di Imilcone attaccò i romani ottenendo una sconfitta.
Subito dopo Ippocrate morirà presso le rive del fiume Anapo a causa di una pestilenza, mentre Epicide vedendosi rifiutato il soccorso di Bomilcare si rifugiò ad Agrigento facendo poi perdere le sue tracce. Siracusa così andò incontro al suo destino cadendo definitivamente in mano romana. In quell’occasione trovò la morte anche il grande scienziato siracusano Archimede, che – racconta quella che per molti versi è più che altro una leggenda - fu ucciso per errore da un soldato. Il console Marcello poté entrare vittorioso a Roma col suo carico di ori e beni preziosi strappati alla città siciliana.