Cultura Napoli

Vesuvius by Warhol: Napoli incontra la Pop Art

Warhol: "Amo Napoli perché mi ricorda New York. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come quella di New York"



Napoli - Uno dei quadri più iconici presenti alla mostra “Andy Warhol and POP Friends” allestita a Modica è sicuramente “Vesuvius”, un acrilico su tela realizzato nel 1985 in occasione della personale “Vesuvius by Warhol”, tenutasi a Napoli presso il Museo Nazionale di Capodimonte.
La rappresentazione di tale iconografia, che contraddistingue da millenni la città partenopea, non nasce per caso, ma è il frutto di un percorso esistenziale che l’artista americano ha maturato sin dalla metà degli anni ’70, attraverso alcuni soggiorni a Napoli suggeriti dal noto gallerista Lucio Amelio. Sicuramente la visita più feconda avviene nel 1980, quando egli ritorna in città invitato dallo stesso gallerista nel suo spazio espositivo in piazza dei Martiri, nel quartiere signorile di Chiaia, dove incontra Joseph Beuys, artista concettuale tedesco.
Quell’incontro leggendario, che metteva a confronto l’arte americana con l’arte europea e faceva della città partenopea l’epicentro internazionale dell’arte contemporanea, fu subito immortalato da una famosa foto di Mimmo Jodice in cui Warhol sfida il tranquillo leone di piazza dei Martiri, infilandogli la mano sinistra nelle sue possenti fauci mentre con la destra stringe quella di Beuys.
In questa occasione, dunque, avvenne un confronto pacifico e proficuo, un dialogo tra due diverse concezioni del mondo, inevitabilmente opposte: Beuys fortemente teso al cambiamento del mondo e della vita, contrario al capitalismo, al terrorismo, alla guerra che portano miseria e dolore; diversamente Warhol distaccato e oggettivo come la sua macchina fotografica, che immortala con freddezza i simboli del consumismo e della società di massa.

Da questo memorabile incontro, l’artista americano realizzò tre serigrafie con colori diversi in cui appare il ritratto di Beuys.
Dopo poco tempo Warhol lavora ancora per Napoli, ma questa volta il suo ritorno sulla scena artistica avviene per allievare la grande sofferenza del popolo campano e di quello lucano, causata dal catastrofico terremoto dell’Irpinia.
Da questo terribile evento, Lucio Amelio ebbe la geniale idea di chiamare i maggiori protagonisti della scena artistica internazionale per dare un personale contributo, dimostrando che dopo un evento nefasto la vita rinasce: quella potente energia scaturita dal sottosuolo terrestre può essere trasformata in energia creatrice, energia positiva, reazione a ciò che di nefasto è accaduto.
Oltre sessanta artisti accolsero questa chiamata, sentita come dovere morale e come impegno sociale, contribuendo con le loro creazioni, più di cento opere di grande qualità, ad un straordinario evento artistico, tenutosi nel 1984 nella prestigiosa sede vanvitelliana di villa Campolieto ad Ercolano.
In seguito tutte le opere confluiranno nella grande collezione “Terrae Motus”, ideata anche per dotare la città di una raccolta di arte contemporanea, che dal 1994 viene custodita all’interno della Reggia di Caserta. Per questo evento Warhol realizza nel 1981 l’opera “Fate presto”, articolata in tre tele, utilizzando la prima pagina del quotidiano “Il Mattino” del 26 novembre dell’80. Un’opera forte, una sorta di preghiera ma anche un ammonimento, in cui si parla della morte e del grande dolore della popolazione, ma anche della rabbia e della disperazione per quei benedetti soccorsi che, ieri come oggi, stentano sempre ad arrivare e maledettamente tardano: si pensi al dipinto “la zattera della Medusa” di T. Gericault. Infine, l’ultima tappa di questo percorso è sicuramente la grande mostra personale “Vesuvius by Warhol” del 1985 citata precedentemente, tenutasi nel salone dei Camuccini a Capodimonte, dove vengono esposti una serie di 18 dipinti, acrilico su tela, in cui Warhol raffigura il medesimo tema del paesaggio partenopeo con il Vesuvio in eruzione, dimostrando inequivocabilmente il suo amore per la città. L’autore in ogni singola tela utilizza accostamenti di colori e toni differenti per dare l’impressione delle diverse fasi dell’eruzione, ma anche per suscitare nell’osservatore emozioni variegate, dal terrore alla gioia. Contemporaneamente all’inaugurazione di questo evento, l’artista si esprimeva in questo modo: "Mi raccomando appena succede qualcosa di nuovo mandatemi a prendere in aereo, così finalmente
potrò dipingerla dal vero". 

Sono evidenti il desiderio e la speranza di poter dipingere dal vero l’eruzione dello “sterminator Vesevo”, un’immagine potente, impressa nella memoria collettiva poichè per la prima volta compare nello spazio pittorico in un dipinto di Bruegel il Vecchio della seconda metà del ‘500. In seguito, durante il ‘700, quel paesaggio diventerà argomento privilegiato dai pittori vedutisti, come Canaletto e C. van Wittel per citarne solo alcuni, fino a quando nell’800 la sua presenza sarà una costante della pittura di paesaggio nell’ambito del Romanticismo europeo, dove diversi artisti, W. Turner in primis, immortalano il vulcano in tutta la sua scenografica furia dirompente durante un’esplosione. Insomma il Vesuvio, inserito nella linea di costa che caratterizza il golfo, nel corso degli ultimi secoli diventa un soggetto avvincente, in quanto evocatore di bellezza naturalistica ma anche di morte e di distruzione. Il vulcano non lascia indifferente neanche lo sguardo freddo dell’artista americano, che dipingendolo, in fondo, reinterpreta la leggendaria veduta paesaggistica in chiave pop, attraverso una rappresentazione fredda e distaccata, presentandoci l’immagine di un Vesuvio da fumetto o da cartellone pubblicitario tramite colori sfolgoranti, come fuochi d’artificio che attirano l’attenzione di chi osserva. Ma queste tinte brillanti sono anche metafora dell’energia che contraddistingue sia l’anima indomita della città, che la potenza della natura per la presenza del vulcano stesso.

Tuttavia, potremmo riconoscere in questo dipinto anche una rappresentazione soggettiva, evidenziata dall’utilizzo di colori antinaturalistici che insieme alla semplificazione delle forme, alla bidimensionalità delle campiture di colore definiscono il tratto stilistico dell’autore. Inoltre l’utilizzo del colore nero, che diventa semplice campitura ma anche linea curva e articolata, assume un valore espressivo, enfatizzando il carattere dinamico e travolgente della raffigurazione. Warhol, infatti, in questa serie di dipinti abbandona la serigrafia e torna ad utilizzare l’acrilico tramite la tradizionale manualità del pennello, come a voler sentire vicino il soggetto rappresentato immedesimandosi nell’evento catastrofico. Sembrerebbe a questo punto che egli voglia smussare l’impersonalità e l’atteggiamento anestetizzante tipico della sua pittura, ripiegato a subire un maggiore coinvolgimento emotivo, come si evince dalle sue parole: "per me l’eruzione è
un’immagine sconvolgente, un avvenimento straordinario ed anche un grande pezzo di scultura. Il Vesuvio per me è molto più di un mito: è una cosa terribilmente reale". 

Da questo suo pensiero, si potrebbe cogliere anche un certo aspetto romantico, in cui la natura si mostra nella doppia veste di madre benigna e di cattiva matrigna, manifestandosi attraverso grandiosi e spettacolari eventi naturali che stordiscono i sensi dell’uomo. Da ciò scaturisce il sentimento del sublime, costituito da sensazioni contrastanti come il piacere assoluto nell’osservare un evento naturale straordinario e la grande paura per la consapevolezza della sua pericolosità. Profondamente affascinato dalla città del golfo, Warhol la considera unica e speciale per la straripante vitalità del suo popolo, nonostante sia minacciato costantemente dal pericolo di una distruzione incombente. Infatti con queste parole d’amore, tratte da un articolo del quotidiano “il Mattino”, l’artista istituisce il suo attaccamento alla città: "Amo Napoli perché mi ricorda New York. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come quella di New
York". 

La testimonianza tangibile di questo indissolubile legame rimane sedimentata non solo nelle diverse retrospettive che si sono organizzate in città nel corso del tempo, ma soprattutto dalla presenza di due opere memorabili: Fate Presto della collezione Terrae Motus e Vesuvius della sezione di arte contemporanea del Museo di Capodimonte, donata da Lucio Amelio nel 1993. Napoli, città “porosa” , assorbe e restituisce tutto ciò che incontra lungo il suo cammino, rielaborando nuove idee e nuovi linguaggi: la città ha avuto l’occasione di entrare in contatto diretto con la Pop Art, acquisendo prestigio nel circuito internazionale dell’arte contemporanea, ma nello stesso tempo la sua anima passionale ha influenzato intimamente l’artista americano, ridefinendo il suo modo di interpretare la realtà nella superficie pittorica.


© Riproduzione riservata