Vittoria - Lì per lì l'idea di un video per presentare un edificio (si trova sui principali siti di architettura) sembra incongrua come una degustazione di vino online: cosa può aggiungere, a linee e volumi del costruito, vederlo in action? Poi però, proprio mentre stai per spazientirti, Fnc 2009, un piccolo cubo impenetrabile coperto di compensato grezzo dalle sfumature rosa, si muove. Metà del volume slitta su binari, al centro si spalanca un terrazzo nudo, le pareti solide si piegano in lamelle orientabili come persiane frangiluce. Quanto basta per aver voglia di vedere il fenomeno dal vivo, e dall'interno: e di lì la "scatola" aperta diventa uno spazio multiplo e pieno di affacci sugli uliveti nella campagna di Noto, luci, ombre e una parete di vetro collegano il dentro e il fuori, dallo slittamento orizzontale scaturiscono stanze e spazi di servizio, e nel cuore lo spazio aperto, spartano e scenografico, di un cortile fantasma col pavimento in griglia metallica sospeso come una palafitta.
Fnc 2009 è una vedette architettonica della stagione, uno dei nove premi Riba (Royal Institute of British Architects) selezionati fuori dall'Inghilterra tra 770 partecipanti, nella shortlist del premio Stirling che sarà assegnato il 14 ottobre .E la progettista di Fnc 2009, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, architetto siciliano con studio a Vittoria e trentennale esperienza (il primo lavoro è del '74) di piccoli, rigorosi e ingegnosi edifici quasi sempre privati, è l'anti-vedette posta sotto i riflettori dalle medaglie d'oro della Triennale di quest'anno: premio alla carriera (la cerimonia sarà il 16 ottobre) insieme a Gae Aulenti e Vittorio Gregotti, ma con vent'anni e molte migliaia di metri cubi costruiti di meno.
Per Fulvio Irace, uno dei sette giurati che l'hanno scelta, è un'autrice di «piccoli miracoli di superbia e umiltà», la prima riferita a una certa scontrosità senza compromessi con l'ambiente, la seconda alla sua caparbia disponibilità a progettare partendo da quanto meno stylish si può trovare (e c'è una bella scelta) nel nostro Sud piallato dal gusto medio e sgarrupato dall'abusivismo. Qualche anno fa è successo a Scoglitti, una frazione sul mare a pochi chilometri da Vittoria: una casetta di vacanza anche in quel caso, però non tra gli ulivi di Noto, tra rustici semicostruiti "spontaneamente" a perdita d'occhio. Il committente sognava tre stanze da letto, rosicchiando i centimetri. La progettista l'ha convinto a un "dormitorio" per quattro tutto in verticale, una stanza-cortile a cielo aperto e soluzioni minimal così ardite e insolite da conquistare l'attenzione alla mostra Metamorph, Biennale Architettura di Venezia 2004. «Da ogni luogo, la vista sulle stratificazioni sedimentate del paesaggio abusivo circostante», concludeva quasi strizzando l'occhio la relazione progettuale. La differenza spicca come una medaglia di civiltà dell'abitare. Qualche tempo dopo è toccato a una casa unifamiliare a Ragusa, che prima della riconversione sembrava un incubo disneyano di tetti aggettanti e balconi ad angolo: via tutto e perfino l'intonaco, è tornata un cubo di linee pulite a norma antisismica, con le macerie è stato rialzato il giardino, collegato con passerelle d'acciaio naturale che ora dialogano con la scala esterna, i terrazzi sospesi sull'acqua e la pergola di rete metallica.
Tanto rigore, naturalmente, ha il suo prezzo. Circondano Grasso Cannizzo racconti di incarichi privati declinati e lavori pubblici respinti al mittente. Anche nel campo delle opere di utilità collettiva, la sua misura è stretta: la torre di controllo che ha realizzato nel porto turistico di Marina di Ragusa è una pila di tre scatole (acciaio, fibrocemento, vetro, legno) che riescea diventare segno del paesaggio nonostante non sia più alta di tre piani. Il committente privato che sta al gioco può invece rischiare vertiginosi upgrading della sensibilità estetica: uno degli ultimi cantieri conclusi e ancora non pubblicati, un intero piano di una modesta palazzina anni Settanta a Ragusa, è stato svuotato e poi il suo paesaggio interno risagomato da contenitori con parti mobili che spostandosi trasformano gli spazi secondo le necessità, quello di raccordo col terrazzo con pareti e pavimento d'acciaio, una stanza da musica rossa come un teatro, le scatole-stanze bianche, sulle quali l'artista inglese Richard Woods ha poi dipinto all'esterno le sue venature lignee in bianco e nero.
Il rapporto con l'arte è una delle cifre più riconoscibili di Giuseppina Grasso Cannizzo, che ha vissuto a Torino nella stagione in cui è stata la capitale più vivace dell'arte contemporanea. Prima ancora, a Roma, è stata studentessa e poi assistente di Franco Minissi, il maestro della museografiae del restauro critico che insieme a Cesare Brandi ha firmato il preveggente (e oggi compromesso) restauro della Villa romana del Casale a Piazza Armerina.
Volendo rintracciare l'origine della sua disinvolta eleganza nell'uso dei materiali bisognerebbe forse ricordare quando faceva scandalo rifare le mura scomparse in policarbonato per ridare la prospettiva giusta ai mosaici rimasti. Per spiegare la sua attitudine alla riprogettazione dell'esistente, si potrebbe rifarsi al restauro come metodo. E una carriera tenace tra piccoli grandi restauri e contenitori in movimento per conquistare lo spazio, nell'autunno delle archistar, vale una medaglia.