Ispica - Partiamo da un presupposto: l’auto è nuova, ma ha 66 anni.
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Il Defender è un balcone al terzo piano, un pezzo di storia, un Rolex d’epoca.
Non è un’auto, non è un fuoristrada. E’ qualcosa di più, qualcosa di diverso.
Figlio dell’ultima guerra, è icona del Camel Trophy, e come un cammello sfida il tempo, quello atmosferico e quello che passa.
Un imbarazzo. Tutti si girano a guardarti. Come fossi un marziano. E dire che l’auto è spartana, essenziale, senza concessione a fronzoli. Eppure ha un potere evocativo incredibile, con quelle linee nette, tetragone, perentorie.
Non ci sono vie di mezzo.
La Defender piace o non piace, ti innamori o no, e se ti innamori sei perduto.
Cambio a sei marce, con ridotte, l’auto raggiunge i 150 km orari in autostrada, consumando, nel misto, onesti 7 km con un litro di gasolio.
La sensazione è di essere sulla PapaMobile.
Il modello provato è il 109, con 122 cavalli, 2400 cc di cilindrata, ma per chi ama le citazioni colte il modello più lungo, il 110 è spettacolo allo stato puro.
Con il fotografo Luigi Nifosì, in una domenica di sole, ci rechiamo in quel lembo di Sicilia che è territorio americano, la base eliportuale di Punta Ciriga.
Un flash, un ricordo, e ci appare l’immagine di Gianni Berengo Gardìn, l’auto che guarda il mare.
Un vuoto pietrificante, mentre il Defender prende il largo.
Nulla pare impossibile con quest’auto che restituisce il sapore della meccanica a chi guida, e insegna che l’elettronica ha tolto il gusto delle cose vere, sudate, autentiche.
Blocco chiave a sinistra, freno a mano giù, in fondo, non c’è spazio per il gomito.
La parete dello sportello è verticale, a filo, come il pedale della frizione, disassato in the left.
Cosa dire?
Se non la guidate non potete capire.
L’auto è in prova da Sergio Tumino.