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Il senso del dovere di Fazio. Esempio da seguire

Il dovere dei collaboratori

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Ragusa - Fateci caso: quando il Commissario Salvo Montalbano è contento dell’esito d’una indagine, di una ricerca di indizi, di una gradita sorpresa emersa grazie al lavoro del suo commissariato, raramente ringrazia. E quando decide di farlo, lo fa sempre in maniera molto sommessa. A stento gli scappa un flebile “grazie”.
Quando il grazie del capo struttura è rivolto all’ispettore Fazio, l’ottimo poliziotto, sovente risolutivo nelle indagini grazie al suo intuito spiccatissimo e perfettamente sintonizzato con il metodo di Montalbano, risponde con un semplice “dovere!”.
Semplice, ma significativa quella parola del linguaggio burocratico che inevitabilmente si instaura tra il capo ed il sottoposto. Significativa perché è traducibile con due sole possibili varianti; la prima, maleducata e del tutto fuori luogo “ho fatto quanto ho fatto per semplice dovere, cioè perché debbo, e non perché l’ho fatto per te o per altri”; la seconda, che è quella utilizzata dall’ispettore di Polizia Giuseppe Fazio, che invece significa “grazie di nulla, perché l’ho fatto per l’alto senso del dovere che sento nell’adempimento del mio ufficio”.
Ed è in questo significato che si deve intendere quel “dovere” pronunciato da Fazio nelle rare volte in cui lo scorbutico commissario creato da Andrea Camilleri gli rivolge un “grazie” per il contributo dato nella risoluzione dell’ennesimo caso criminale.
Un dovere, un attaccamento al ruolo, un sentirsi “servitori dello Stato” che, di questi tempi, è quanto di più anacronistico si possa riscontrare nel nostro malato Paese.
Eppure, e lo sappiamo bene, sono tantissimi (ma non certo tutti) i dipendenti dello Stato che sentono forte il senso del dovere. E del resto, non possono essere smentiti i cardini della scienza statistica: una percentuale di fancazzisti dev’esserci, è fisiologico. Il problema risiede appunto nella percentuale: in altri tempi sarà stato forse il dieci per cento, adesso è certamente molto cresciuta. Ed anche in questo non è possibile lottare contro i mulini a vento, e non sarà il renziano job act a risolvere il problema. E però, appare evidente (soprattutto a quella percentuale più o meno ampia di lavoratori ligi al dovere e al senso del dovere), non è neppure possibile rassegnarsi all’attuale e sempre più invadente degrado morale (che coincide con la più grave crisi economica mondiale dell’ultimo secolo, aggravando la situazione).
In tal senso la penna di Camilleri, la camera di Alberto Sironi e la faccia di Luca Zingaretti forniscono

Augello lo chiama Giuseppe, Montalbano lo chiama “Fazio”.


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