Tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80, cominciarono ad imperversare sulle nostre reti private una serie di anime di genere “robottone” (mecha).
Dai vari Mazinga a Gundam, da Jeeg robot d’acciaio fino a Gakeen magico robot, uno in particolare merita di essere recensito per originalità dei temi trattati, per la grandissima capacità di saper prendere in giro il suo stesso genere d’appartenenza e per gli interessanti riferimenti al cinema a certi film d’azione: stiamo parlando dell’unico e immortale Daitarn 3, il mitico robot alto 120 metri che si batte contro la società dei meganoidi. Costituito da 40 episodi in tutto, scritto da Yoshiyuki Tomino, l’anime è arrivato in Italia nel 1980 ed era perfettamente in linea con la tendenza dell’animazione giapponese di quegli anni. La trama, nonostante possa apparire ai nostri occhi oggi un tantino ripetitiva, era comunque interessante per essere la storia di un robot che vuole salvare l’umanità. Il dottor Haran Sozo, uno scienziato che conduceva alcune ricerche su Marte, riuscì a creare una nuova forma di robot-cyborg al fine di potenziare e migliorare la razza umana: i meganoidi. Purtroppo, però, questi cyborg sfuggirono al suo controllo, apparentemente uccidendolo. Rimase in vita solo il figlio Haran Banjo, il protagonista della nostra storia, che grazie al Daitarn, il robot che gli ha lasciato il padre, combatterà contro i Meganoidi per 40 episodi. Queste creature umanoidi sono capitanate da una figura misteriosa, Don Zauker, che si esprime a mugugni incomprensibili. Il suo pensiero viene interpretato da Koros, una sacerdotessa dall’aspetto glaciale. Lo scopo dei Meganoidi è quello di trasformare i migliori esemplari della razza umana in cyborg. Insieme a Banjo troviamo anche il maggiordomo tuttofare Garrison (chiaro riferimento al maggiordomo Alfred di Batman), la biondona svampita Beauty Tachibana, la sofisticata Reika Sanjo e Toppy, il classico orfano inutile degli anime robot. E in fondo la trama è tutta qui: Banjo che combatte contro il meganoide di turno e lo sconfigge sempre allo stesso modo: l’attacco solare. Ma allora cosa rende questo anime diverso rispetto agli atri di genere mecha?
LA PARODIA DEL GENERE MECHA E LE CITAZIONI DI FILM OCCIDENTALI
A parte il chiaro riferimento a Batman con l’introduzione del maggiordomo Garrison, la cosa interessante in Daitarn 3 sono le continue citazioni di film e saghe occidentali: dai classici film di Kung-Fu a Guerre Stellari ai film di 007, Daitarn 3 non è un semplice cartone animato: è una continua scoperta, anche a tanti anni di distanza. Inoltre, sebbene il Daitarn sia imbattibile, l’autore ha chiaramente voluto prendere in giro il genere mecha: ad esempio, il robot ha delle armi ridicole, come i “Daitarn Ventagli”, oppure quando in un episodio Banjo dichiara di non avere accanto le sue due assistenti e di essersi accorto di questo dal fatto di non averle riconosciute dai vestiti. Anche questo, è un chiaro riferimento al fatto che i personaggi degli anime di quegli anni, per via dei costi di produzione, indossavano per tutta la durata della serie sempre gli stessi vestiti. I meganoidi, inoltre, sono dei cattivi umanizzati con delle ossessioni assurde: c’è chi vuole essere la più bella del mondo solo perché il fidanzato l’ha scaricata, c’è chi vuole nascondere la propria calvizie indossando un enorme parrucchino e via dicendo.
I MEGANOIDI, HARAN BANJO E IL PROBLEMA DEI DUE FINALI
Sebbene dunque Daitarn 3 ci appaia come un anime scanzonato, il finale è uno dei più cupi e tristi della storia. I meganoidi, infatti, sono dei cattivi umanizzati: restano, infatti, costituiti da una base umana, spesso diventano meganoidi per propria scelta e prima che il Daitarn li polverizzi scopriamo sempre la loro storia, spesso fatta di miserie e ossessioni. La battaglia condotta da Haran Banjo, con il passare delle puntate, ci appare più come qualcosa di personale e non come un atto di generosità verso la Terra. Scopriamo, infatti, che detesta il padre per aver creato i meganoidi (pur pilotando comunque il Daitarn) e sembra veramente incapace di provare pietà per questi esseri che, comunque, restano degli essere umani, seppur trasformati in robot. Esistono, però, due finali: quello visto nell’anime “storico”, cioè con il primo doppiaggio italiano, è uno dei più strani: dopo aver fatto fuori Don Zauker e Koros, Banjo torna sulla Terra. Tutti vanno via dalla villa e il protagonista non si fa nemmeno vedere. Alla fine, vediamo Garrison sotto la pioggia che aspetta l’autobus e in lontananza una luce provenire dalla camera di Banjo. Un finale davvero strano, che non spiegava nulla. L’altro finale, invece, visto per la prima volta con un doppiaggio diverso negli anni 2000, è completamente diverso, molto più triste, ma almeno spiega qualcosa in più: Banjo scopre che Don Zauker è suo padre, o forse suo padre trasformato in meganoide, che Koros è la sua amante e che ha usato suo fratello e la moglie per costruire i primi meganoidi. Eppure, Koros dice che è colpa di Banjo se è scoppiata la guerra perché loro non si sarebbero mai sognati di attaccare l’umanità. A loro, infatti, bastava colonizzare Marte. Banjo, accecato dall’odio, fa fuori entrambi, pentendosi subito dopo e dichiarando: “Che cosa ho fatto”. In fondo, ha ucciso suo padre. Tornato sulla Terra, il nostro eroe viene abbandonato da tutti una volta che si scopre la verità e a Banjo non resta altro che rendersi conto di come l’odio lo abbia trasformato in un mostro, non troppo dissimile dai meganoidi che ha combattuto per tutta la vita.