Ispica - Nell'era del digitale e dell'AI risulta difficile se non improbabile imbattersi in un poeta dialettale che possa vantare (e/o altri vantare per lui) le sue doti. Eppure a Spaccaforno o per chi vuole nell'odierna Ispica vi è un umile e contemporaneo seguace (forse ancora in maturazione e/o forse poco conosciuto) del più famoso "Ceconatu" che grazie alla "techne poetica" nelle grigie giornate dedicate ai morti ed intristite dalle attuali notizie delle guerre a noi vicine - si pensi al fronte russo-lituano e al fronte palestina-israele, ma anche a quelle più distanti e che non fanno notizia - riesce a donare sprazzi di luce e di speranza.
Come ben sapete, la parola "arte" per come la intendiamo noi, non esiste in greco. Il concetto usato dai greci era la "techne", ovvero la capacità di capire come si fa a fare una cosa in modo da renderla utile per gli uomini. Per come mi piace pensare ed a dispetto del credo circolante, non è la bellezza che salverà il mondo. Anzi è proprio il contrario. Al mondo, agli uomini tocca il compito di salvare la bellezza. Ed io ritengo che l'ispicese Giuseppe Galfo attraverso i suoi versi in dialetto riesca nell'arduo intento, o comunque ci prova, di salvare la bellezza. La bellezza di quella poesia dialettale siciliana oramai quasi perduta e spesso non attenzionata per come si dovrebbe negli istituti liceali dell'isola. Qui di seguito, una delle poesie di Giuseppe Galfo che meritano davvero di essere conosciute e sfido qualsiasi modello di AI a saper declinare con il giusto e toccante impeto questi versi dialettali che riscaldano il cuore.
.... A notti rì Ognissanti sfilunu i muorti e sunu tanti. Tutti misi in prucissioni a sacunnu a condizioni. 'N testa cu morsi rì vicciania appriessu i fora ligghi ccà smania puoi cù morsi ppì disgrazia e scurriennu..i primaturi e senza razia, 'n funnu a fila tuttu ù riestu chiddi cà ù moriri fù sempri prestu. Sti quattr 'ossa 'nfraciruti si isunu ò scuru rè valati e vanu furriannu vaneddi vaneddi pi jiri arrubbannu cosi beddi.. Pupi rì zuccuru e viscotta rì meli pani cunzatu e vistiti nuovi. Li vanu purtannu nte casi rà genti e i picciriddi stritti parenti.. a cui a memoria ci resi lustru cù 'n pinsieri o 'n patri nuostru. U juornu rè muorti è 'n juornu rì festa ppì cui nun c'è ciù..e ppì cui arresta.