C’è sempre un modo migliore per morire.
Nel 1971 Fabrizio De Andrè diede alle stampe un disco liberamente tratto dall’Antologia di Spoon River, tradotta da una giovanissima Fernanda Pivano, su suggerimento di Cesare Pavese, nel 1943.
De Andrè aveva letto, appena 18enne, i racconti di Edgar Lee Masters nella traduzione della Pivano e tredici anni dopo, ormai 32enne, pubblicò il concept album “Non al denaro non all’amore né al cielo”, trasfigurando i personaggi originali e mantenendo solo l’identità del Suonatore Jones.
Fu così che “il farmacista Trainor” di Lee Masters diventò “Un chimico” di Fabrizio De Andrè.
La canzone, in forma di epitaffio, come le altre dell’album, racconta la vicenda umana di un chimico, un uomo appassionato del proprio lavoro, che però ha paura di darsi alla vita e alla insondabilità degli eventi e dei sentimenti che la attraversano.
Il chimico resta così chiuso nel suo mondo, uguale e rassicurante, proiettato nel suo laboratorio, verso la puntuale prevedibilità delle reazioni chimiche fra molecole, sempre diffidente nei confronti dell’ignoto.
Da chimico un giorno avevo il potere
Di sposar gli elementi e farli reagire
Ma gli uomini mai mi riuscì di capire
Perché si combinassero attraverso l'amore
Affidando ad un gioco la gioia e il dolore
E dire che il chimico di De Andrè sa bene come far reagire gli elementi, con precisione matematica:
Ma guardate l'idrogeno tacere nel mare
Guardate l'ossigeno al suo fianco dormire
Soltanto una legge che io riesco a capire
Ha potuto sposarli senza farli scoppiare
Soltanto la legge che io riesco a capire
Accade che la vita riservi a ciascuno di noi fatti imprevedibili, e a volte anche di poca comprensibilità. Esiste un modo rassicurante di reagire, la chiusura difensiva e a priori. E poi c’è la scelta di ascoltare e capire. Ma il chimico di De Andrè ha paura:
Primavera non bussa, lei entra sicura
Come il fumo lei penetra in ogni fessura
Ha le labbra di carne, i capelli di grano
Che paura, che voglia che ti prenda per mano
Che paura, che voglia che ti porti lontano
Un legame -chimico- mancato. E “legame” è la parola omessa nella canzone e base portante del racconto poetico deandreiano. Il legame chimico e il legame sentimentale.
La paura del non vissuto, di accettare gli incidenti, gli incontri che la vita può riservarci, paralizzano il chimico Trainor che, diffidente, dice subito di no, per paura di cadere.
Il chimico di De Andrè oscilla tra paura e desiderio della primavera, non accorgendosi di essere egli stesso sbocciato al mondo in maniera inconsapevole.
Quante volte accade di attraversare un momento di grazia, senza averne coscienza e consapevolezza, e quante volte accade che siano gli altri, anche estranei, a farcelo notare!
Fui chimico e, no, non mi volli sposare
Non sapevo con chi e chi avrei generato
Son morto in un esperimento sbagliato
Proprio come gli idioti che muoion d'amore
E qualcuno dirà che c'è un modo migliore.
Il Chimico di De Andrè è un uomo concentrato sul suo lavoro, prigioniero delle sue sicurezze e della sua zona confort, ma il modo in cui egli stesso descrive i fenomeni fisici in termini chimici nasconde in verità un profondo sentimento di ammirazione per la vita, cui ci si apre, sembra dire De Andrè, accettando l’ignoto e i suoi doni.