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La corrispondenza. Tornatore? Si è ispirato a Bufalino

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“Angelo diceva che la morte è un paravento di fumo fra i vivi e gli altri. Basta affondarci la mano per passare dall’altra parte e trovare le solidali dita di chi ci ama. Purchè si lascino peste, uste, minuzie che conservano il nostro odore. Fu forse questo pensiero che lo spinse ad affidare a una suora una filza di lettere con date fittizie, da spedire una alla volta due volte l’anno. In esse narrava il romanzo futuro di sé, vantava paternità, impieghi, successi; annunziava indisposizioni da nulla che nella puntata dopo erano già guarite e remote. Sua madre – ci spiegava – sarebbe vissuta più a lungo, aspettando a ogni scadenza il posticcio messaggio in cui si prolungava indefinitivamente l’eco della cara voce scomparsa. Sarebbe stato per lei come avere un figlio oltremare, a San Paolo, a Little Italy. Lei morì subito dopo di lui, tuttavia, e suor Tarcisia, se non l’ha saputo, continua certo ancora oggi a impostare queste inferie di un morto a una morta, che nessun postino potrà mai restituire al mittente (ma fra noi vivi che scriviamo, le parole servono forse di più? Ed è poi sicuro che sia suono la vita e silenzio la morte, e non invece il contrario?)”.
Vi suona familiare questo brano? Se la risposta è si, allora le ipotesi sono due: o avete letto “Diceria dell’untore” di Gesualdo Bufalino, libro da cui questo brano è tratto, o avete visto “La corrispondenza”, l’ultimo film di Giuseppe Tornatore. Il regista siciliano, dunque, strizza l’occhio al grande scrittore comisano. La storia di Angelo, uno dei compagni di sventura dell’io narrante, sembra essere stata presa come spunto per costruire lo stratagemma usato dal professor Phoerum (interpretato da Jeremy Irons) nell’ultimo film di Tornatore. “Diceria dell’untore”, il primo libro pubblicato da Bufalino, narra le vicende del protagonista (e di un gruppo di persone che affollano il suo universo), che si trova in un sanatorio di Palermo in quanto affetto da tubercolosi. Nulla di nuovo sotto questo cielo, verrebbe da dire. Prendere spunto dalla letteratura, si sa, è cosa nota, buona e giusta: non sappiamo, in effetti, quanto sia stato voluto dal regista questo riferimento letterario. Sta di fatto che Bufalino, oltre che essere un grandissimo scrittore, è evidentemente anche un fine umorista visto che si chiede se suor Tarcisia, incaricata di far pervenire le lettere con date posticce alla madre di Angelo, ha mai saputo che anche la donna è morta poco dopo il figlio e forse ha continuato ad impostare lettere “di un morto a una morta che nessun postino potrà mai restituire al mittente”. Due le differenze fra la vicenda di Angelo e quella di Phoerum: l’oggetto amoroso, in quanto per il professore è l’avvenente studentessa fuoricorso Amy (che comunque, sia chiaro, avrebbe potuto rifarsi una vita in ogni caso) e il fatto di utilizzare mail e messaggi video al mosto della classica epistola. Tempi diversi, mezzi diversi.


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