Attualità Referendum

Nucleare, porsi il problema con attenzione e serietà

L'opinione di Michele Fronterrè



In un paese come l’Italia, se penso al nucleare, penso all’ atomica. Alla pizza, ovviamente. Nel 1987, sull’onda di quanto accadde nella centrale di Chernobyl, ai quesiti referendari del Novembre di quell’anno, gli Italiani votarono per il NO alle centrali elettronucleari. L’Italia uscì da quel settore.

Qualche tempo fa, prima del disastro di Fukushima in Giappone, il governo aveva manifestato la sua intenzione di avviare un programma di ritorno al nucleare, volto alla realizzazione di 4 nuove centrali. Poi ci fu Fukushima e, tra una settimana,  al referendum, del prossimo 12 e 13 Giugno, gli italiani saranno chiamati, dopo più di vent’anni, a scegliere nuovamente se avallare o meno l’indicazione della maggioranza.

Dati alla mano, il nucleare fa meno morti per Terawattora di energia elettrica prodotta delle centrali a carbone o metano. Ma una centrale nucleare è e rimane un sistema al alta densità di energia che viene prodotta in un volume molto piccolo. Energia, quella prodotta dall’atomo, che si libera dalla perdita di massa, percentualmente insignificante, da parte degli atomi radioattivi degli elementi chimici più pesanti esistenti sulla terra. Che decadono. Come l’uranio o il torio. E, lo sanno tutti, non è facile prendere il torio per le corna.

Poca massa per tanta energia. Una quantità enorme di capitale ex-ante per una enorme quantità di materiale di scarto ex-post. Un prima che ti svuota le tasche e ti fa aumentare il debito. Un dopo che va gestito. Altro che rifiuti in Campania.

Ricordate lo spot di quella nota casa produttrice di pennelli. “Vuoi dipingere la parete grande, ti ci vuole un pennello grande”. Ecco, più o meno il modo di ragionare del governante medio del paese di un vertice G8 medio. Abbiamo sempre più bisogno di grande quantità di energia? Ci vuole una grande centrale di produzione dell’energia. 

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Ma in un momento come quello attuale, in cui le economie di mezzo mondo sono caratterizzate dall’avere un elevato debito pubblico, un basso tasso di crescita, e dal doversi confrontare con uno scenario geopolitico fortemente instabile che rende, ad esempio, imprevedibile il costo del capitale tra x anni, ebbene è ragionevole ipotizzare che sotto queste ipotesi un investitore, che operi in maniera razionale, decida di investire nel nucleare o comunque in un progetto ad altissimo contenuto di capitale?

Se, come spero, siete d’accordo nell’ammettere che ciò sia molto improbabile, allora converrete sul fatto che, oggi, avventurarsi nel nucleare ed in generale in investimenti ad alta intensità di capitale  è un’operazione che può verificarsi solo per scelta politica. Scelta che ha come contropartita quella di gravare sui cittadini in quanto verrà sostenuta dalla fiscalità generale.

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Queste considerazioni al netto di tutta una serie di osservazioni di natura tecnica, gestionale, menutentiva, di sicurezza, di assicurazione. Come se tutti gli altri, annosi, storicamente cruciali problemi connessi con la costruzione e la gestione di centrali nucleari trovassero soluzioni poco rischiose ed  a buon mercato. Come se il disastro di Fukushima non fosse accaduto.  

L’Italia è un paese senza materie prime e senza risorse energetiche. Non può quindi non porsi il tema del nucleare con attenzione e sobrietà. Ma è necessario pianificare prima il piano di ammortamento della centrale. E condividerlo con la comunità.

Affrontare criticamente, professionalmente, questo tema vuol dire porsi delle domande relativamente alle politiche di architettura del sistema di produzione e approvvigionamento energetico. Ad esempio perché non pensare ad un rete di micro-centrali (di qualsivoglia tecnologia, rinnovabile, nucleare, più o meno tradizionali) evitando di concentrare grandi potenze installate in aree specifiche. Perché non pensare a tecnologie alternative al nucleare come ad esempio ai processi di gassificazione del carbone, ( risorsa fossile più diffusa sul pianeta), con cui si produce  syngas che può poi essere bruciato evitando l’emissione di grandi quantità di CO2. 


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