Cultura

New York Times: Un viaggio in Sicilia, chiese ovunque

Traduzione di Cristina Arrabito

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New York - Accadeva ogni volta che ci addentravamo in auto in uno dei paesi di collina della Sicilia sudorientale. Poteva essere un paese o una grande città, in rovina o in buone condizioni, ma quando ci dirigevamo in su verso il centro storico, l’immagine che ci si presentava davanti era quasi sempre la stessa: una stupenda chiesa barocca, color miele o di un bianco pallido, ornata di colonne o sesti, angeli o Cupidi, conchiglie o foglie, urne o stemmi, e talvolta di tutti questi elementi insieme. Poteva mancare una torre campanaria o poteva esserci dell’erba che cresceva fra le pietre della pavimentazione, ma ciascuna di quelle chiese era un esempio di ciò che si schiude in questo angolo di Sicilia: uno stile esuberante che si sviluppò su facciate di chiese e palazzi subito dopo un devastante terremoto nel 1693.
Il tardo barocco siciliano fu una risposta sprezzante alla furia della natura, un’affermazione ambiziosa di ricchezza e fede, assicurata da un’aristocrazia locale molto influente. “A Roma il barocco era l’essenza del potere della Chiesa,” ha detto Nuccio Iacono, uno storico del luogo che ho incontrato per un drink una sera di Febbraio a Ragusa Ibla, il centro storico di Ragusa, vicino a uno dei capolavori della regione, il sontuoso Duomo di San Giorgio a tre ordini, la cui costruzione iniziò nel 1738 secondo un progetto del noto architetto Rosario Gagliardi. “Qui si parla di rinascita.”
Questa era il mio quarto viaggio in Sicilia. Ho scoperto per la prima volta la città di Noto, a circa 50 kilometri da Ragusa Ibla, negli anni ’80, quando le sue chiese e i suoi palazzi, magnifici e fulvi, stavano cadendo in rovina, soprattutto a causa dell’incuria. Vi ho fatto ritorno dieci anni dopo come reporter per scrivere un articolo sul parziale crollo della Cattedrale di San Nicolò, un disastro provocato dall’uomo e dovuto alla stupida idea di costruire un tetto in calcestruzzo sulla navata centrale.
Alla mia terza visita, nel 2011, un’altra rinascita era in corso: la cattedrale di Noto e gran parte del centro della città erano stati restaurati. Lo stesso stava accadendo a molte delle chiese e dei palazzi di Ragusa Ibla, alle strette vie e alle facciate del lungomare dell’Isola di Ortigia a Siracusa, altri due gioielli del barocco siciliano.
Un tempo regno di uomini anziani e gatti, desolazione e crimine di bassa lega, queste città sono adesso piene di alberghi e ristoranti. Tra una visita e l’altra ai gioielli architettonici, si possono degustare un delizioso gelato o una granita, il dolce freddo semicongelato tipico della Sicilia. Probabilmente i migliori si trovano al “Gelati DiVini” di Ragusa Ibla e al “Caffè Sicilia” di Noto.
Durante il mio viaggio nel 2011 a Palazzolo Acreide, una piccola città di circa 9 mila abitanti, mi sono allontanata dalla piazza principale, ho superato la Casa museo “Antonio Uccello”, incentrato sulle tradizioni contadine della Sicilia, e mi sono imbattuta in un curioso manifesto per un altro museo: il nuovissimo Museo delle Tradizioni Nobiliari.
Il manifesto diceva che il museo era aperto, ma in realtà non lo era. Un tipico paradosso all’italiana. Voltato l’angolo, ho trovato Titti Zabert Colombo indaffarata nel negozio di souvenir. Lei risultava essere l’unica persona responsabile del restauro dell’ex Palazzo Rizzarelli Spadaro, un tempo appartenente all’illustre famiglia Ruffo di Calabria, e della sua trasformazione in un museo che ora appariva completamente rinnovato e dipinto di un blu acceso.
La signora Zabert, all’età di 71 anni, è un piccolo concentrato di energie. Trasferitasi dal nord Italia, ha dedicato la sua vita a trasformare Palazzolo Acreide in un laboratorio vivente di turismo culturale. Il suo scopo non è solo il restauro degli antichi edifici – tra i quali, oltre a Palazzo Rizzarelli Spadaro, si annoverano numerose abitazioni private situate nella piazza principale – ma anche l’incremento delle attività culturali e il tentativo di richiamare gli investimenti stranieri. “La Sicilia non ha risorse naturali, ma possiede la cultura,” mi ha detto più di una volta.
In quel primo incontro abbiamo passeggiato per la città, di cui mi ha fatto notare principalmente il settecentesco Palazzo Judica-Politi, che lei vuole convertire in un ritiro per vincitori del Premio Nobel, e un gruppo di case medievali arroccate nell’area di un castello non più esistente, con panorami della valle mozzafiato, siti che spera di promuovere agli occhi di italiani e stranieri colti. “Ci sono così tante possibilità,” continuava a dirmi. “È giusto? Is it true?”
Incuriosita dalla signora Zabert – o Titti, come preferiva essere chiamata – ho fatto ritorno l’inverno seguente, dopo averla convinta a farmi fare un giro di quella che lei chiama “Sicilia minore”, ossia le città meno note della regione. Dunque, rieccomi a Palazzolo durante una serata ventosa in cui Titti mi ha presentato a un gruppo di amici davanti a una deliziosa cenetta al ristorante “Lo Scrigno dei Sapori”, uno dei suoi preferiti. Tra gli invitati c’erano il sindaco di Palazzolo Carlo Scibetta, un team di architetti formato da padre e figlio, una coppia inglese che aveva comprato una casa in città e un esperto di libri rari proveniente dalla vicina Siracusa con la moglie, una professoressa. 
Abbiamo iniziato con un banchetto di specialità locali: dalla ricotta affumicata con finocchio selvatico e cardi alle marmellate di cipolla, pere selvatiche e arance sanguinelle di Sicilia; arancini (palle di riso ricoperte di pangrattato); un antipasto a base di pesce; diversi piatti di pasta e – il pezzo forte – una salsiccia locale, la star culinaria del Carnevale della città, i cui festeggiamenti nella piazza centrale stavano terminando proprio allora.
Il sindaco Scibetta è giustamente fiero delle feste di Palazzolo: la principale è quella di San Paolo che si tiene a fine giugno, momento in cui la città si riempie di coriandoli, detti nzaredde, che vengono sparati in aria come fuochi d’artificio. Scibetta ha affermato che tutto il lavoro che sta dietro la creazione e il trasporto dei carri tiene occupati i ragazzi di Palazzolo in un periodo in cui la disoccupazione giovanile si aggira intorno al 50%.
“Abbiamo bisogno di progetti per sfruttare al massimo ciò che abbiamo,” ha detto il sindaco. “Ma questo dovrebbe avvenire con il coinvolgimento della comunità. Altrimenti la gente non sarà interessata.”
Come la maggior parte della Sicilia, Palazzolo ha tratto vantaggio da un grande sviluppo culturale. I greci hanno lasciato un magnifico teatro in cima a una collina, detta Akrai; i normanni costruirono un castello medievale, ora distrutto; gli ultimi anni del XIX secolo hanno conferito un tocco di Art Nouveau (conosciuta in Italia come stile Liberty) ai monumenti del cimitero. Fuori dalla città, lungo il fiume Anapo, si trovano le tombe lasciate dall’antica popolazione dei Siculi; gruppi di più di 5 mila tombe si possono visitare presso la vicina Necropoli di Pantalica.
Il giorno dopo, io e Titti siamo partite per una gita di un giorno. Durante il viaggio in auto, il paesaggio sembrava cambiare ad ogni curva della strada (in un punto, un pezzo della strada era proprio sparito, spazzato via dalle forti piogge della settimana precedente).
Abbiamo attraversato valli rivestite di rocce brulle simili a quelle dell’Afghanistan, per poi risalire verso campagne ondulate che assomigliavano all’Inghilterra, con campi divisi da bassi muri a secco. Non era ancora primavera, ma in certi punti c’era già il verde punteggiato del rosella dei primi fiori di mandorlo e del grigio-verde degli alberi di ulivo.
Buscemi, un minuscolo paese di 1100 abitanti, è stata la nostra prima fermata e, come previsto, ci siamo ritrovate subito davanti a una chiesa barocca, Sant’Antonio da Padova che, come tutte le altre, era relativamente discreta e aveva in cima una un campanile con tre campane che sembrava un cappello. Ma ce n’erano ancora più avanti, tra cui l’imponente Chiesa Madre. Ci siamo fermate alla Chiesa di San Giacomo. Là Titti è balzata su una scala laterale per osservare la vista della Valle dell’Anapo.
“Da qui si ha uno spettacolo migliore,” ha detto. E aveva ragione: il panorama era splendido.
Più tardi il signor Iacono, lo storico, ha ripreso lo stesso tema teatrale. “Il barocco siciliano è davvero una scenografia,” ha detto. “Tutto sta all’esterno – la luce e le ombre, il bello e il brutto.” 
Un’altra città che faceva parte del nostro itinerario era Ferla, che possiede non una, ma ben quattro magnifiche chiese disposte lungo la via principale come sentinelle. Una è la Chiesa di Sant’Antonio Abate, caratterizzata da un inusuale prospetto concavo privo di campanile e da un cortile fatiscente.
Abbiamo fatto sosta in diversi agriturismi, che sono una sorta di B&B di campagna. Solitamente sono economici e offrono cene con vino locale, oli d’oliva e formaggi. Il mio preferito è stato l’“Anapama”, un piccolo ed elegante B&B situato in fondo a una strada scoscesa a valle di Palazzolo, con tre camere da letto decorate con tessuti indiani e tappeti del Caucaso, una piscina e tavoli per la colazione sotto alberi di cachi.
Il giorno seguente, ho incontrato un’amica di Roma, Elisabetta Povoledo, la corrispondente dell’International Herald Tribune in Italia, e ci siamo dirette a Caltagirone, una città di 39 mila abitanti, forse meglio conosciuta non per le sue 28 chiese, ma per le sue ceramiche gialle e blu, che sono vendute in dozzine di negozi e si trovano in bella mostra sui 142 gradini della Scalinata di Santa Maria. È una delle otto città barocche della regione – insieme a Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa e Scicli – ed è stata inserita nella lista delle città Patrimonio Mondiale dell’Unesco nel 2002.
In seguito, siamo ritornati a sud in direzione di Scicli (pronunciato “cheeklee”), che è stata descritta dallo storico d’arte Anthony Blunt come “barocco conservato in gelatina.” Un primo esempio è il Palazzo Beneventano, ornato con facce grottesche, alcune dallo sguardo minaccioso, altre che sembrano ululare.
Era domenica, dunque la sontuosa Chiesa di Sant’Ignazio era aperta e abbiamo potuto dare un’occhiata alla Madonna delle Milizie, la cui miracolosa apparizione nel 1091 pare abbia salvato i normanni dall’attacco dei mori invasori.
Una statua a grandezza naturale di questa vergine guerriera, dai riccioli neri e rivestita di un’armatura, siede in groppa a un cavallo rampante mentre brandisce una spada. Sotto gli zoccoli del cavallo vi sono le figure di due mori che si agitano convulsamente, una vista certamente spiacevole per i visitatori nordafricani.
Per raggiungere la nostra ultima meta ci siamo allontanati dal barocco in direzione di Donnafugata, un castello eclettico e in gran parte ottocentesco che offre una vista del Mediterraneo dalla terrazza in falso stile gotico-veneziano. Un tempo apparteneva al barone Corrado Arezzo, erede di un’antica famiglia ragusana, il quale era così potente che ottenne di far deviare il corso della rete ferroviaria locale in modo che i treni fermassero alle porte della sua proprietà.
Qui, per 8 euro, circa 10 dollari, si può dare uno sguardo alla passata gloria dell’antica e potente aristocrazia siciliana. Ora proprietà delle istituzioni locali, Donnafugata, con la sua carta da parati scrostata e i tappeti consunti, è un ricordo nostalgico di una società che una volta valutava potere e bellezza in egual misura. 
IN VIAGGIO
DOVE ALLOGGIARE
Vicino Palazzolo Acreide:
L’affascinante B&B Anapama (39-380-3743773; anapama.itinfo@anapama.it) è raggiungibile grazie alla disponibilità della proprietaria che vi accompagnerà dal centro di Palazzolo fino al suo rifugio in campagna. Un luogo ideale durante le caldi estati siciliane con piscina e cavalli. I costi sono: 70€ per coppia a notte oppure 87,50$ (scambio 1,25$ = 1€); 90€ a luglio e agosto.
A Ragusa:
Il Barocco (39-0932-663-105; ilbarocco.itinfo@ilbarocco.it) si trova proprio nel cuore di Ragusa Ibla, a due passi dalla piazza principale. I costi di una doppia variano da 90€ a 125€ a notte; è inclusa una colazione eccellente con frutta e dolcini.
A Ortigia, Siracusa:
L’Hotel Gutkowski (39-0931-455861; guthotel.it) è piccolo, elegante e semplice, situato sul lungomare. Una doppia costa 130€.
DOVE MANGIARE
A Palazzolo Acreide:
Lo Scrigno dei Sapori (Via Maddalena, 50; 39-0931-1882941; loscrignodeisapori.com) è chiuso il lunedì. Ordinate la degustazione di antipasti rustici che offre una ricca scelta di specialità locali.
La Trattoria del Gallo (Via Roma, 228; 39-0931-881334) offre buon cibo siciliano, ricotta fresca, salsicce e olive a prezzi estremamente ragionevoli.

Traduzione di Cristina Arrabito

Link dell’articolo originale http://travel.nytimes.com/2013/06/02/travel/on-a-road-trip-in-sicily-churches-everywhere.html?pagewanted=all&_r=0 

© Tutti i diritti riservati sulla traduzione. Vietata la riproduzione

Testo originale

It happened each time we drove into one of southeastern Sicily’s hill towns. It could be a village or a big town, run-down or fixed-up, but as we drove uphill toward the historic center, the vision ahead was always roughly the same: a stunning Baroque church, honey-colored or pale white, decorated with columns or curves, angels or Cupids, shells or leaves, urns or shields, sometimes all of the above. A bell tower might be missing or there might be grass growing between the paving stones, but each of those churches exemplified what unfolds all across this corner of Sicily: an exuberant style that played itself out on facades of churches and palazzi in the wake of a devastating earthquake in 1693.

Late Sicilian Baroque was a defiant answer to nature’s wrath, an ambitious affirmation of wealth and faith, delivered by an all-powerful local aristocracy. “In Rome, the Baroque was all about the power of the church,” said Nuccio Iacono, a local historian, whom I met for a drink on a February evening in Ragusa Ibla, the old center of Ragusa, near one of the region’s masterpieces, the sumptuous three-tiered Cathedral of St. George, whose construction began in 1738 according to a design by the noted architect Rosario Gagliardi. “Here it is about rebirth.”

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This was my fourth visit to the region. I first discovered the town of Noto, 31 miles from Ragusa Ibla, in the 1980s, when its gorgeous tawny churches and palazzi were crumbling, mostly from neglect. I came back a decade later as a reporter to write an article about the partial collapse in 1996 of Noto’s Cathedral of St. Nicholas, a man-made disaster blamed on the knuckle-headed idea of constructing a concrete roof over the nave.

By the time I returned for a third visit, in 2011, another rebirth was under way: the Noto cathedral, and much of the town’s central district, had been restored. The same was true of many of the churches and palazzi in Ragusa Ibla, and on the narrow streets and seafront facades on Syracuse’s Ortygia Peninsula, two other jewels of Sicilian Baroque.

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Once the domain of old men and cats, squalor and low-level crime, these towns are now bursting with hotels and restaurants. Between visiting architectural gems you can sample the delicious gelato and granita, the Sicilian water-based ice specialty, of which arguably the best can be found at Gelati DiVini in Ragusa Ibla and at Caffè Sicilia in Noto.

During my 2011 visit to Palazzolo Acreide, a small town with a population of about 9,000, I wandered away from the main piazza, past the ethnographic Museum of Antonino Ucelli, which concentrates on Sicilian peasant traditions, and happened upon an intriguing sign for another museum: the brand-new Museum of Noble Traditions.

The sign said the museum was open but it was not, a familiar Italian paradox. So I went around the corner, where I found Titti Zabert Colombo, busying herself in the gift shop. It turned out she was the person single-handedly responsible for restoring the ruins of the former Palazzo Rizzarelli Spadaro, which once belonged to the illustrious Ruffo di Calabria family, and turning it into the completely restored, bright-blue museum.

Signora Zabert, at 71 years old, is a diminutive dynamo, a transplant from northern Italy who has dedicated her life to turning Palazzolo Acreide into a living laboratory of cultural tourism. Her goal is not just the restoration of old buildings — which, besides the Palazzo Rizzarelli Spadaro, include several private houses on a main piazza — but the encouragement of cultural activities and the attraction of foreign investment. “Sicily doesn’t have natural resources, it has culture,” she said to me more than once.

On that first meeting, we walked through the town, where she pointed out the 18th-century Palazzo di Politi, which she wants to turn into a retreat for Nobel Prize winners, and a cluster of medieval houses, nestled on the site of a long-gone castle, with stunning views of the valley, which she hopes to sell to cultured Italians and foreigners. “There are so many possibilities,” she kept telling me. “È giusto? Is it true?”

Intrigued by Signora Zabert — or Titti, as she insisted I call her — I returned the next winter, after persuading her to give me a tour of what she calls “Sicilia minore,” or the region’s lesser-known towns. So on a windy night, there I was, back in Palazzolo, where Titti introduced me to a group of friends over a delicious dinner at Lo Scrigno dei Sapori, one of her favorite restaurants. Among the guests were Carlo Scibetta, the mayor of Palazzolo; a father-son team of architects; an English couple who had bought a house in town; and a rare-book expert from the nearby city of Syracuse and his professor wife.

We started with a feast of local specialties — from baked ricotta with wild fennel and thistle to marmalades made from onions, wild pears and Sicilian blood oranges; arancini (rice balls coated with bread crumbs); a selection of fish antipasti; various pasta dishes and — the pièce de résistance — a local sausage that was the culinary star of the town’s carnival festivities, just then winding down in the main piazza.

Mayor Scibetta is justly proud of Palazzolo’s festivals: the highlight is the feast of San Paolo in late June, when the town is festooned with confetti, known as nzaredde, which are shot into the air like fireworks. Mayor Scibetta said the work that goes into creating and carrying the floats keeps the young people of Palazzolo busy at a time when youth unemployment is around 50 percent.

“We need projects that make the most of what we have,” Mayor Scibetta said. “But it should be done with the involvement of the community. Otherwise, the people won’t have a stake.”

Like so much of Sicily, Palazzolo has benefited from a cultural pile-on. The Greeks left behind a magnificent theater on the top of one hill, known as Akrai; the Normans bequeathed a medieval castle, now in ruins; the late 19th century put a touch of Art Nouveau (known as Liberty in Italy) to the monuments in the cemetery. Outside of town, along the Anapo River, are tombs left behind by an ancient people known as the Siculi; clusters of more than 5,000 tombs can be visited at the nearby Pantalica Necropolis.

The next day, Titti and I set off on a daylong exploration of the region. As we drove, the landscape seemed to change with every curve in the road (in one place, a piece of the road had actually disappeared, washed away by heavy rains the week before).

We dipped down into stark rock-faced valleys that looked like Afghanistan, and then climbed back up toward rolling countryside that looked like England, with fields divided by low stone walls. It wasn’t yet spring, but in places it was already green, spotted with the faint pink of early almond flowers, and gray-green of the olive trees.

Buscemi, a tiny town of 1,100 people, was our first stop and, sure enough, we quickly came across a Baroque church — San Antonio di Padua, which, as Baroque churches go, was relatively discreet, with a three-bell belfry on top that looks like a hat. But there were more ahead, including the imposing Mother Church, or Chiesa Madre. We stopped at the church of San Giacomo. There Titti bounded up a side staircase to take in the view of the Anapo Valley below.

“The spectacle is best from up here,” she proclaimed, and she was right: the view was gorgeous.

Mr. Iacono, the historian, later picked up on the same theatrical theme. “Sicilian Baroque is really a set design,” he said. “It’s all on the outside — the light and the shadows, the beautiful and the ugly.”

Another town on our route was Ferla, with not one but four magnificent churches posted along the main street, like sentinels. One was San Antonio Abate, with its unusual concave exterior, a missing belfry and raggedy courtyard.

In the countryside, we stopped by various agriturismos, essentially rural B & Bs. They are usually inexpensive, and offer dinner, with locally made wine, olive oils and cheeses. My favorite was Anapama, a small, elegant B & B at the bottom of a steep road in the valley below Palazzolo, with three bedrooms decorated in Indian textiles and rugs from the Caucasus, a swimming pool and breakfast tables beneath persimmon trees.

The next day, I met up with a friend from Rome, Elisabetta Povoledo, the International Herald Tribune’s Italy correspondent, and headed to Caltagirone, a town of 39,000, perhaps best known not for its 28 churches, but for its yellow and blue ceramics, sold in dozens of stores and on display on the 142 steps of the Scalinata di Santa Maria. It is one of eight Baroque towns in the region — together with Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa and Scicli — added to the Unesco list of World Heritage sites in 2002.

We then turned south, to Scicli (pronounced as cheeklee), described by the British art historian Anthony Blunt as “Baroque preserved in aspic.” A prime example is the Palazzo Beneventano, festooned with grotesque faces, some scowling, some howling.

It was Sunday, which meant that the great church of Sant’ Ignazio was open, and we could catch a glimpse of the extraordinary Madonna of the Militia, whose miraculous appearance in 1091 is said to have saved local Normans from an attack by invading Moors.

A life-size statue of this warrior virgin, decked in armor, with locks of black hair, sits high upon a rearing horse, brandishing a sword. Under the horse’s feet are the figures of two writhing Moors, undoubtedly an uncomfortable sight for visiting North Africans.

For our last stop, we took a detour away from the Baroque, to Donnafugata, an eclectic, overwhelmingly 19th-century castle, with a view of the Mediterranean from its mock-Venetian terrace. This was once the domain of Baron Corrado Arezzo, heir of an old Ragusa family, who was so powerful that he redirected the local railroad so that the trains stopped at the gates of his estate.

Here, for 8 euros, about $10, you can get a glimpse of the faded glory of the once mighty Sicilian aristocracy. Now the property of the local government, Donnafugata, with its peeling wallpaper and frayed rugs, is a nostalgic reminder of a society that once valued power and beauty in equal measure.


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