Cultura Silvana Grasso su La Sicilia

Se Veronica chiedesse a Silvio milioni di baci

L'ex coppia Berlusconi-Lario

https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/24-05-2017/veronica-chiedesse-silvio-milioni-baci-500.jpg Berlusconi e Veronica


Dal contrasto amoroso tra il poeta Orazio, d’età augustea, e la sua amante Lidia, entrambi ormai preda di nuovi fatui amori, Chloe lui, Calaide lei, esce chiaro e inoppugnabile una tesi: se amore è, lo sarà sempre e per sempre.
Dopo essersene detti di tutti i colori, i due amanti tornano insieme: «Ma se ritorna l’antico amore / e disgiunti ci piega a un bronzeo giogo? / Ma se si scaccia Chloe la bionda, e s’apre / la porta a Lidia prima respinta?» - propone Orazio «Sebbene quel ragazzo sia / più bello d’una stella, tu invece più leggero del sughero / e più aspro dell’iroso adriatico / con te vorrei vivere / con te morirei felice», risponde Lidia.
Se amore è, oltre ogni scaramuccia, incomprensione, equivoco, amore sarà per sempre a condizione però che sia amore tra... poveri.
Viceversa le cose cambiano, la tesi viene stravolta e il suo dettato si rivela inadempiente.
Orazio è uno squattrinatissimo poeta, “mantenuto” nelle sue piccole necessità dal grande Mecenate, generale e uomo di cultura che, rapito dal suo genio, ne permise l’immortale Poesia, quella poesia che il Mondo ci invidia e contempla.
Non è ricco, è quattr’ossa, non è maciste, ha un caratteraccio, piglia fuoco subito, ma Lidia lo ama, così com’è. E per lui molla il ricchissimo, bellissimo, marcantonio Calaide. (Odi, III, 9).

Che succede, oggi, in Italia quando l’amore è morto, anzi ormai carogna? Succede che al coniuge ricco, nel caso di specie Berlusconi, in fase di divorzio, la Cassazione appenda al collo un’ipoteca mensile di due milioni di euro e 50.000 mensili per gli spiccioli di casa (giardiniere, maggiordomo, etc etc) da versare al coniuge “debole” senza battere ciglio.
Più che commentare l ’incommentabile, preferiamo ricordare figure di donne esemplari, a cui la vedovanza del marito produsse tale irreparabile angoscia da indurle al suicidio.
Pensiamo ad Evadne, creatura appassionata, sensibile, profonda che, appresa la morte del marito amatissimo Capaneo, si uccide sulla pira dove brucia il cadavere del suo giovane sposo, nonostante l’immenso dolore del padre suo che, orbo d’una figlia, resterà in vita a scontare una pena senza fine.
Il suo Capaneo è uno dei sette valorosi eroi, morti alle sette porte di Tebe, combattendo al seguito di Polinice che, esule da Tebe, ne reclama il regno dal fratello Eteocle.
Le madri dei valorosi argivi morti chiedono l’intervento di Teseo per riaverne i cadaveri, cui dare una degna sepoltura. Lo chiedono alla madre Etra che, proprio perchè madre, non negherà loro il suo aiuto, la sua pietas: «Ti supplico, o vecchia, con la mia vecchia bocca, ti cado innanzi ai ginocchi. Orsù libera i figli morti, hanno lasciato i loro corpi nella morte che scioglie le membra in cibo alle fiere dei monti... non ho esposto i miei figli defunti in casa, e non vedo sulla terra i tumuli tombali... Sette madri infelici generammo sette figli gloriosi tra gli argivi e ora senza figli tristemente invecchierò. Non sono tra i vivi e non son tra i morti. E' una sorte diversa da entrambe» (Le Supplici, Euripide).
Anche da morto un figlio è un figlio, un marito è un marito, amore per sempre.
Questa la metafora della tragedia euripidea. La giovane sposa «Evadne, la figlia di Ifi. Perchè sta ritta in alto sulla roccia? Cosa l’ha condotta a questo cammino?», si chiede timoroso il coro delle Supplici-madri.
Evadne raggiunge lo sposo sulla pira, brucerà con lui e, nei momenti che precedono i suoi imenei di fuoco, ricorda gli imenei felici delle sue nozze: «Che splendore, che luce nel carro del sole quel giorno, e la luna nel cielo mandava il suo raggio veloce correndo nel buio, quando Argo esaltava nei canti le mie nozze, la mia felicità e il mio nobile sposo Capaneo. Sono uscita di corsa , m’incammino alla tomba sua stessa pronta a sciogliere all’Ade il travaglio, la fatica di vivere: è dolcezza suprema morire giacendo accanto all’amore che muore» (Ibidem).
Nel Mito Evadne incarna l ’eternità dell’amore vero, che non sopporta «divorzio», nemmeno quello voluto dalla sorte.
Evadne è la fedeltà oltre la morte, è Amore assoluto «dall’alto della rupe mi getterò con un balzo nel mezzo del fuoco, nella fiamma lucente unirò il mio corpo allo sposo, la mia carne accanto alla mia nel letto nuziale di Persefone. O morto sposo che giaci sottoterra io non ti tradirò mai nel mio cuore. Addio luce, addio nozze» (ibidem).
Nell’oltretomba, nel regno di Persefone, Evadne e Capaneo saranno ancora una sposa e uno sposo, innamorati oltre ogni destino di morte.
Non altro desidera Evadne che seguire il suo amore nella morte, ricongiungersi per sempre a lui là dove nessun’ altra morte può più separarli.
Nemmeno il vecchio padre, che piange già il figlio Eteoclo, morto valorosamente a Tebe, può sottrarla al suo proposito d’amore: morire. «Misera Evadne, misero me vecchio, doppio sangue congiunto vengo a piangere, il figlio Eteoclo, morto della lancia dei Tebani, e mia figlia, scomparsa da casa, la sposa di Capaneo, decisa a morire con lui» (ibidem).
La decisione di Evadne è irrevocabile: «Come un uccello, o padre, sopra il rogo del mio sposo alzerò un volo infelice... morta giacerò assieme al mio sposo... non mi tratterrai tenendomi per mano. Ecco il mio corpo è pronto al salto» (ibidem).
Protesilao fu il primo eroe a cadere sul suolo troiano, la sua partenza era avvenuta immediatamente dopo le nozze con la sua amata Laodamia, ma nella fretta delle nozze gli sposi avevano trascurato di sacrificare agli dei, provocandone l’ira.
Laodamia non ne accetta la partenza per Troia e il rischio di morte: «Lui non è tale che gli si addica andare all’assalto a spada sguainata, egli può amare con molta più forza che non combatta, la guerra la facciano altri, Protesilao l’amore» (Heroides, Ovidio).
E' un ininterrotto monologo d’amore quello di Laodamia verso lo sposo «nel letto solitario inseguo sogni ingannevoli... quando potrò al tuo ritorno stringerti a me con braccia bramose e sentirmi mancare sfinita dalla gioia?» (ibidem).
Invidia le spose troiane che possono star vicine ai loro uomini: «La sposa novella, lei stessa con le sue mani, metterà l’elmo al forte marito e gli darà le armi dardanie e nel dargliene prenderà intanto baci e accompagnerà il marito ... e lui combatterà con cautela e al suo ritorno lei gli toglierà lo scudo e slaccerà l’elmo e ne accoglierà in seno il corpo sfinito» (ibidem).
Muore lo sposo, ucciso da Ettore, appena messo il piede in suolo troiano e Laodamia, in virtù del suo immane dolore, muove a pietà persino gli dei inferi che, per qualche ora, restituiscono al suo amplesso l’amato.
Ma quando per lui sarà ormai tempo d’andare, Laodamia lo segue uccidendosi: «Lo giuro sul tuo ritorno e sul tuo corpo e sulla tua testa, che possa vederla imbiancare di capelli canuti, io ti verrò dietro come compagna, ovunque tu sia destinato, sia ahimè quel che temo, sia che tu sopravviva...».
Simili donne non chiedono milioni di euro ma solo milioni di baci...


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