Cultura Intervista inedita

Inedito. 1999, Franco Battiato a Peppe Savà: ecco i miei Fleurs

Pubblichiamo una intervista edita su cartaceo 22 anni fa e oggi inedita sul web a firma di Giuseppe Savà

https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/18-05-2021/inedito-1999-franco-battiato-a-peppe-sava-ecco-i-miei-fleurs-500.jpg Inedito. 1999, Franco Battiato a Peppe Savà: ecco i miei Fleurs


Catania, novembre 1999 - Dal sintetizzatore di Shock in my town in Gommalacca al quartetto d’archi in Fleurs, con le cover di Fabrizio De Andrè, Sergio Endrigo, Charles Aznavour: un viaggio nel futuro e uno nel passato.
Il mese scorso ha tenuto un concerto nell’aula Paolo VI in Vaticano per la Fao. Parla l’uomo della Magna Grecia che alla bella età di 54 anni continua a scalare le classifiche collaborando con Morgan dei Bluvertigo, Andrea Pezzi di Mtv, e ora recuperando anche testi in lingua provenzale.
Nella sua casa di via Monte Sant’Agata a Catania, Franco Battiato si confessa a Peppe Savà di ritorno da un viaggio in Nepal.
Da Salvatore Di Giacomo ai Rolling Stones, sino a una canzone tradotta da un Gesualdo Bufalino appena ventenne, dal francese in italiano.
Fleurs il titolo del nuovo album, “registrato -come Franco tiene a precisare- nella casa di Milo, l’undici e il dodici agosto di quest’anno. L’eclissi nonostante”.
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Lunedì 8 novembre, ore 16,10. Sono in ritardo di qualche minuto. Il violento temporale e il proverbiale traffico catanese fa slittare il mio arrivo. Franco Battiato mi attende, sommerso dai fax, nel salotto della nuova casa che affaccia su via Etnea: una libreria sterminata, un pianoforte a coda, uno stereo portatile.
I quadri, i suoi quadri e poi opere del Seicento, su fino al secolo scorso. Repubblica, Corriere, La Stampa e La Sicilia sul tavolino, oltre agli immancabili Persol.
Latte di mandorla per l’ospite.
Franco Battiato disdice la partecipazione alla trasmissione di Fabio Fazio e Baglioni, si lamenta per la cervicale che non gli dà tregua. Ha smesso di fumare e ha messo dieci chili.
Il mese scorso, in ottobre, per la seconda volta nella tua carriera, ti sei esibito nell’aula Paolo VI in Vaticano. Sei stato costretto a tornare tre volte per i bis davanti a un pubblico di cardinali e teen ager. Che effetto ti fa?
Credo ci sia una sopravvalutazione da parte di quel pubblico dei miei meriti. Intendo dire che il pubblico presente il mese scorso al concerto in Vaticano è un pubblico di persone legate da almeno dieci, quindici anni, alla mia musica. Per loro è come se fossi uno di famiglia, ascoltano Battiato con la stessa frequenza con cui la mattina fanno la barba davanti allo specchio. E’ naturale che quel pubblico viva un mio concerto con un surplus di partecipazione che il pubblico dei palazzetti non sempre prova. Sarò sincero, la richiesta di bis non mi lusinga. Ricordo che quando vivevo a Milano andavo ai concerti di musica classica con una certa regolarità. Alcuni spettatori si annoiavano per tutta la durata del concerto, applaudendo in maniera svogliata. Accadeva poi che il concertista terminasse la sua esibizione e il pubblico, anche quello più annoiato, incominciava ad applaudire con più forza chiedendo i bis. Ecco, provo fastidio per le finzioni: o è vero che il concerto è finito con l’ultimo pezzo in programma, e allora si chiude lì, o è vero che i bis sono una componente strutturale del concerto e allora li mettiamo in programma.
Credo che alla base della richiesta di bis, comunque, ci sia anche una motivazione diversa: la paura di tornare a casa. Alcuni, durante i concerti, si annoiano, pensano ad altro, quando si accorgono che il concerto è finito si fanno prendere dal panico e iniziano ad applaudire come forsennati. Come vedi, non mi faccio adulare con tanta facilità…Charles Trenet non ha mai concesso un bis in vita sua. Tempo fa a Parigi iniziò un concerto con una specie di rantolo, era malandato, lo stavano quasi per portare in ospedale, poi, pian piano, vivacizzò l’esecuzione, alla fine faceva come un invasato. Ma non concedeva bis…

Diciamo che con la pubblicazione dell’album di cover Fleurs il pubblico ha apprezzato la rivisitazione di alcune canzoni che appartengono al nostro patrimonio culturale senza “nostalgismo” da parte tua, senza oleografia. Hai cantato Era De maggio, Ruby Tuesday, Amore che vieni, amore che vai
Forse hai ragione. Nell’ultimo album, Fleurs, ho cercato di ricavare l’essenza ontologica di quelle canzoni che ascoltavo quando avevo 22, 23 anni. Sono arie che hanno formato i miei gusti, a cui lego ricordi nitidi della mia giovinezza. Non che ora mi senta invecchiato! Ho deciso di aprire e di chiudere le dieci cover con due canzoni d’amore di Fabrizio De Andrè, La canzone dell’amore perduto e Amore che vieni, amore che vai. Era giusto così. Da ragazzo conoscevo tutte le canzoni di De Andrè a memoria, accordo per accordo. La settimana scorsa, al ritorno dal mio viaggio in Nepal, ho trascorso una sera a Milano, con Dori Ghezzi e la famiglia De Andrè al completo. Sai, a gennaio non me l’ero sentita di andare a Genova al funerale. Ho cenato con Dori, Cristiano e Luisa Vittoria, sono stati molto affettuosi con me. Non abbiamo parlato di Fabrizio. Sentivo il bisogno di stare con loro e basta. Ho dato qualche problema a Dori, che aveva preparato una cena a base di pesce, funghi e tartufi…

Tu sei vegetariano…
Assolutamente. Il guaio è che il solo odore dei tartufi mi fa star male, mentre coi funghi ho avuto l’esperienza di un avvelenamento dieci anni fa, sono finito in ospedale. Insomma, ho digiunato.

Vedo che ti sei dato di nuovo alla pittura. Alle pareti ci sono parecchi tuoi quadri.
Accetto la provocazione. Sì, mi sono dato di nuovo alla pittura. La copertina di Fleurs è tratta dal quadro con la rosa che vedi appeso accanto alla libreria. A essere sincero, originariamente non avevo intenzione di dipingere una rosa, poi ho visto che stava venendo fuori bene e ho assecondato come causale un dato casuale…Bisogna accettare l’oggettivazione dell’opera d’arte per quello che è. Ho affinato la mia tecnica grazie a Giuseppe Puglisi e Piero Zuccaro, miei amici pittori, devo a loro due la mia iniziazione alla pittura. Mi hanno fatto comprare i colori, i pennelli…All’inizio fu terribile, oggi sono contento di essere cresciuto, di essermi affinato tecnicamente. Giudico sorprendenti i risultati cui sono arrivato, considerate le mie penose condizioni di partenza. Non sono mai stato un iconoclasta, ho sempre pensato che il volto, la raffigurazione di una divinità, abbia effetti terapeutici nell’ambiente in cui si trova il quadro. La differenza tra me e i miei due maestri è che loro sono dei pittori veri. Di Giuseppe Puglisi e di Piero Zuccaro sentiremo parlare a lungo nei prossimi anni. E’ raro trovare talento e poesia in concentrazioni così alte. Io, viceversa, mi sono trovato a ricevere complimenti per dipinti dove c’erano grossolani errori di sproporzione, interpretati come volontari dai miei estimatori. Mi consola l’idea di quello che accade a Georges Braque, quando una signora gli fece notare che in un suo dipinto la donna raffigurata aveva un corpo poco proporzionato. Braque rispose: “Signora, quella non è una donna, quello è un quadro”.

In Fleurs canti in napoletano Era de maggio, e recuperi dal francese Que reste-t-il de nos amours.
Era de maggio è una delle poche canzoni napoletane che sfuggono al clichè, è stata scritta da un poeta della caratura di Salvatore Di Giacomo. Che cosa resta del nostro amore era stata tradotta da Gesualdo Bufalino dal francese in italiano quando Dino aveva 20 anni. Poco prima di morire mi diede, quasi per celia, questo suo manoscritto. Ho pensato che fosse molto bello. Il pubblico di Siviglia, due anni fa, a un concerto, si innamorò di questa canzone. Ho deciso di includerla nell’album.

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Che cosa pensi dei tuoi colleghi cantautori che si sono dati alla pittura?
Ivan Graziani faceva delle cose molto belle. Mi porto addosso la responsabilità di aver iniziato alla pittura Fiorella Mannoia, anche lei ha del talento. Lucio Dalla “ciù zziccunu sempre” (dal siciliano: lo mettono sempre in mezzo), non mi pare si dedichi alla pittura con dedizione. Jovanotti quasi quasi è più bravo come pittore.

Anche la Nannini dipinge.
No, Gianna non dipinge. Questo è un esempio di quella che io chiamo “la sindrome di Don Backy”.
E’ una malattia?
No, è qualcosa di più. Quando comprai la casa a Milo, si sparse la voce che Don Backy aveva comprato pure lui una villa a Milo. Come sai, in realtà fu Lucio Dalla a comprare una casa adiacente alla mia. Dalla è amico di Morandi, Morandi è amico di Celentano, Don Backy era nel clan di Celentano, e quindi Don Backy avrà comprato pure lui la casa a Milo!
A dir la verità sapevo che anche Ron e Carmen Consoli avevano comprato la casa a Milo. E’ anche questa sindrome di Don Backy?
Carmen ha preso casa a Fornazzo, poco lontano da me. Ron viene a trovare il suo paroliere a Milo, ma non ha una casa sull’Etna. Per tornare al discorso, Gianna Nannini non dipinge, ma nel calderone qualcuno ci avrà messo pure lei.

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Come trascorrerai la notte del 31 dicembre 1999?
Ah, questo è un problema inesistente per me. Metà della popolazione mondiale ha un calendario diverso dal nostro. La settimana scorsa ero in Nepal. Pensa, Savà, là sono già nel 2057.


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