Torino - Il nonno, Battista Farina detto Pinin, aveva saputo trasformare l’auto in un oggetto di design. Da abilissimo battilastra che sapeva modellare la lamiera lavorando con il martelletto, Pinin riuscì a imporsi come creatore di forme per l’automotive. Prima per la Lancia poi per tutti i principali brand delle quattro ruote. Sarebbe toccato al figlio, Sergio, guidare l’azienda nel periodo di massima presenza nel mondo dell’auto quando la firma Pininfarina, ottenuta dopo il cambio di cognome nel 1961, era sinonimo di eleganza e di modelli da sogno.
Il passaggio ulteriore, il ritorno dall’auto alla forma, al design che si sgancia dalla sua culla originaria a quattro ruote per diventare prodotto autonomo, è la missione dei figli di Sergio, i nipoti del fondatore, Andrea, Paolo e Lorenza. Andrea è scomparso tragicamente nell’agosto di 16 anni fa sulla strada per il lavoro. Paolo è morto il 9a aprile dopo anni di lotta con il tumore. La trasformazione dell’azienda di famiglia era stato soprattutto compito di Paolo. Una missione che aveva saputo coltivare nonostante qualche perplessità iniziale.
Due anni fa in una intervista a La Stampa aveva raccontato l’investitura ricevuta dal padre: «Quando mi fece entrare in azienda mio padre mi affidò la responsabilità della parte del gruppo che doveva sviluppare i progetti non automobilistici». Sembrava una penalizzazione e Paolo lo disse chiaramente: «Gli feci notare che a mio fratello facevano capo decine di migliaia di dipendenti mentre io avrei gestito un gruppo di 3 o 4 persone». Obiezione che pare ragionevole. Ma Sergio replicò: «Vedrai, entro i prossimi trent’anni metà della nostra attività sarà basata sull’auto, l’altra metà no». Effettivamente è andata così. Ormai da tempo Pininfarina è design: di auto certo ma anche di palazzi, oggetti, interni. A partire dalla fiaccola olimpica di Torino 2006. Paolo è stato il principale artefice di questo cambio di paradigma. La capacità di trasformarsi senza rinnegare la propria identità. Operazione mai semplice e anzi piuttosto delicata. Ma nella quale aveva mostrato di credere a dispetto delle apparenze: «Per il territorio del Nord-Ovest il futuro dovrà essere ancora nell’industria, nella manifattura. È necessario rafforzare le reti logistiche, i collegamenti anche per favorire gli investimenti delle società dell’hi-tech». In questo contesto Pininfarina ha saputo innovare senza tradirsi: «Gli siamo tutti riconoscenti – ha detto ieri l’ad del gruppo, Silvio Angori – per aver tutelato la nostra storia e la nostra identità aziendale». Ma all’auto, la passione originaria dei Pininfarina nemmeno Paolo l’innovatore sfuggiva: «L’auto – diceva – è il centro della mia vita di uomo, progettista e imprenditore. Per questo ho partecipato alle rievocazioni della Mille Miglia. Ricordo in particolare l’edizione del 1984. Correvo in coppia con Carlo Dusio, figlio del grande pilota Piero, che vinse tutto quello che si poteva vincere con la Cisitalia. Io, figlio di chi l’aveva disegnata».
Fino all’ultimo gli sono stati vicini la moglie Ilaria, i suoi cinque figli Greta, Giovanni, Iole, Tullio e Giulia e la madre Giorgia Gianolio.