Modica - Sempre più spesso m’imbatto in citazioni di documenti antichi imprecise che talvolta stravolgono il testo stesso. È il caso del celebre Compianto sul Cristo morto o Sepolcro della chiesa di San Giovanni Evangelista di Modica.
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Nell’ambito di uno studio più approfondito della scuola d’arte sacra fiorita a Noto nella prima metà del Cinquecento era d’obbligo ricercare le fonti archivistiche che ne testimoniavano le tracce nella Contea di Modica e non solo a Scicli come già avevo rilevato in diversi miei saggi apparsi sul giornale online www.ragusanews.com.
Mi riferisco agli articoli: Antonino Lo Monachello, artista e contemplativo (Ragusanwes, 14.4.2020; Scicli e la scuola d’arte sacra di Noto (Ragusanews, 18.10.2020); La cappella Drago in Santa Maria della Consolazione di Scicli (Ragusanews, 6.3.2021). Già di questo si era occupato nel 2014 Paolo Nifosì nel suo articolo pubblicato sempre sul giornale online Ragusanews.com dal titolo: La maniera moderna e gli Iblei.
Per l’interessante relazione che Nifosì segnalava tra il Sepolcro commissionato allo scultore netino don Antonino Lo Monachello dalla confraternita di Santa Maria La Nova di Scicli e l’altro già eseguito da due valenti artisti di Noto, Vincenzo de Ramundo e Francisco de Chanchano, per la confraternita di San Giovanni Evangelista di Modica, valeva la pena investigare questo periodo estendendo le ricerche fuori di Scicli.
L’atto di commissione del Sepolcro della chiesa di Santa Maria La Nova (di cui si sono salvate miracolosamente solo le statue dell’Addolorata e del Cristo morto) è stato pubblicato nel 2008 da padre Ignazio La China nel suo “Appunti per una storia della pietà popolare a Scicli/ primo quaderno/Le feste del Signore (v. nota 94 a pag. 138).
In esso, com’è noto, i confrati facevano esplicito riferimento al Sepolcro di Modica della Chiesa di San Giovanni Evangelista.
Poi Nifosì, nel suo libro “Modica/ arte e architettura”, Ed. DM Barone spa, Modica, 2015, confermava le notizie in suo possesso sul Sepolcro di San Giovanni Evangelista di Modica precedentemente divulgate nell’articolo apparso su Ragusanews nel 2014.
E cioè che il “Sepolcro” modicano era stato realizzato nel 1549 da due pittori e decoratori di Noto, Vincenzo de Ramundo e Francesco de Chanchano, su incarico dei rettori della chiesa di San Giovanni Evangelista. Il Sepolcro era formato, a suo dire, da otto statue lignee: Cristo, la Madonna, san Marco, san Giovanni, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo “oltre a due angeli con la croce”, la scala ed altri elementi della passione, la croce posta in cima a un monte.
Nifosì indicava il costo dell’opera in ottanta onze.
Il fatto di non aver segnalato la fonte archivistica nell’articolo online apparso su Ragusanews e neppure la data del contratto non mi aveva meravigliato più di tanto.
Conoscendo la scarsa delicatezza con cui molti utenti del Web spesso agiscono rastrellando in rete ciò che è possibile, l’ho ritenuta una pratica prudente e corretta. Forse nel testo “Modica/arte e architettura” Nifosì avrebbe potuto indicare la provenienza delle sue affermazioni.
Tuttavia avendo ritrovato il contratto di appalto stipulato tra i rettori della Confraternita della chiesa di San Giovanni Evangelista di Modica e i maestri scultori e pittori netini, Vincenzo de Ramundo e Francesco de Chanchano, avendolo ben studiato e trascritto, mi sono sorte forti perplessità sulle citazioni fatte da Nifosì.
Mentre l’anno, i nomi degli autori coincidono con il documento ora ritrovato nell’Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica, tutto il resto sembra essere poco aderente alla descrizione fatta da Nifosì.
Prima di tutto le figure. Nel contratto originale si stipula di
facere efficere et formare quoddam opus di rillevo vocato di lo Sancto sepulcro qonsistens jn otto figuris cum duobus angelis de rillevo stature et altjtudinis palmorum sex et sint de mistura fina bona et perfetta cum capitibus et bracchijs legnamine bone et perfette et chi no si pozano camuliarj sfagurirj ne mancharj di surchj viz uno cristo una n/ra donna et trj marej et santo Joannj Joseph et nicodemo cum la cruchi et scala et alie cosj necessarij di la passionj cum lu munti undi sta ditta cruchj vestutj ditti figurj et coloritj hoc modo viz lo xpo jncarnato cum sua tovagla blanca guarnuta di oro la n/ra donna cum suo manto azolo di smauto cocuchulato di oro in lu cottetto di carmuxino russo et la madalena cum lu cotetto di oro et capilli di oro et lo manto russo cum cacochuli di oro et una maria cum lu cuctetto azolo di smauto et cacochuli di oro et manto di oro et laltra maria cum lo manto virdi et lu cotetto di oro et sancto Joanni lu manto russo carmuxino cacuchulato di oru et lu sagu azolo desmauto et li capillj deauratj et joseph cum la vesti violata et laltro cum la vesti viridj cacuchulati di oro cum li timpi guarnuti di oro et li duj angelj di palmj duj e mienczu blanchi di copatij (topatij, ndt) et menzo guarnuti di cacochuli di oro chi siano tuctj colurj bonj finj et perfettj.
Nella versione data da Nifosì le figure dichiarate non sono dieci ma solo otto, spunta un san Marco e sono sparite le Marie, gli angeli portano la croce mentre nella versione originale a portarla sarebbe Nicodemo con altri arnesi necessari alla crocifissione. Gli angeli nel documento oggi ritrovato dovevano essere raffigurati in vesti bianche e topazio e nessun altro riferimento fa il testo nei loro riguardi.
Altra grossa inesattezza il prezzo. Nel contratto citato da Nifosì il prezzo dell’opera è stimato in ottanta onze. Nel contratto originale le onze sono, invece, ottantacinque.
Com’è possibile dare due versioni completamente differenti di un documento?
Il contratto qui presentato è sicuramente autentico per un semplice motivo: al lato della scrittura notarile sono annotati i pagamenti fatti ai maestri nel corso di vari anni dall’economo della Confraternita e dai rettori. In una nota finale (1556) i due artisti dichiarano di essere stati saldati e si ritengono soddisfatti.
Nota comu si fa memoria comu de ditta opera infra li ditti tali cartj fu facto uno altro qontratto et novu accordiu comu appari pi uno qontratto a li atti di lo antonuzo tucchitta die ultimo setembris xv ind/ 1556 dicti mastri foro qontenti et pagati et lassato satisfatto… unde/
Nifosì, allora, quale contratto ha letto e cita o da chi ha ricevuto quell’informazione?
La sua versione è stata ripresa da altri autori tra cui Annalisa Cappello (Cfr: Artisti di Noto nella Modica del Cinquecento) a riprova del grande interesse suscitato dalla notizia.
In maniera più convincente a pag. 64 del testo “Modica/arte e architettura” proprio il Nifosì identifica il maestro Vincenzo Ramundo con lo stesso artista citato da Marco Rosario Nobile in alcuni suoi libri. La citazione a suffragio della sua ipotesi, questa volta riportata dall’autore, indica alla nota n. 6 il volume del notaio Di Pietro Matteo relativo agli anni 1544-1545, pag. 203/204, 3 marzo 1544, custodito presso l’Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica.
Forse un’ipotesi di parentela andrebbe seriamente formulata tra Vincenzo Ramundo e Antonino Ramundo, un altro magister presumibilmente attivo a metà Cinquecento sempre nella città di Modica.
Com’è noto Chanchano avrà ottenuto abbastanza fama e notorietà dal Sepolcro della chiesa di San Giovanni Evangelista per essere incaricato dai rettori della Chiesa di S. Maria La Piazza di Scicli, qualche decade più tardi, di completare l’opera di una grande cona in precedenza appaltata da Bernardino Niger in società con un artista napoletano, il Fugito.
Il Fugito, dopo aver riscosso una cospicua somma per l’acquisto dei panetti d’oro necessari alle dorature, si era reso purtroppo irreperibile e sicuramente era ritornato a Napoli (Cfr: Un Uomo libero, S. Maria de plateis di Scicli: un esempio di cantiere tardo rinascimentale, ragusanews.com, 2.11.2020); Un Uomo libero, La cona dei dispiaceri, ragusanews.com, 14.1.2021).
A parte i dubbi e le perplessità di cui sopra, la più recente ricerca archivistica sembra confermare in modo inequivocabile quella che prima era stata un’ipotesi di lavoro del Nifosì e poi mia e di altri e cioè che la scuola d’arte sacra di Noto aveva trovato nella ricca Contea di Modica un fertile bacino di committenze cui attingere. Resta poco di quest’arte, purtroppo, ma ciò che resta è davvero apprezzabile.
CREDITI
Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica, Notai di Modica e di Scicli.
La China I., Appunti per una storia della pietà popolare a Scicli/ primo quaderno/Le feste del Signore, Editrice Sion, 2008
Nifosì P., Modica/ arte e architettura”, Ed. DM Barone spa, Modica, 2015
Nobile M.R., Modica nel Cinquecento: Le grandi fabbriche chiesastiche, con un contributo di Annalisa Cappello, Ed. Caracol, Palermo, 2015
© Tutti i diritti riservati all’Autore. Divieto di riproduzione parziale e totale dell’articolo. L’Autore sarà ben lieto di fornire tutte le coordinate archivistiche dei documenti citati a chi le richiederà attraverso la Direzione del Giornale on line “Ragusanews”.