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Covid, agriturismi siciliani a -90%: lo scontrino più salato d’Italia

Le aziende dell’Isola pagano il prezzo più alto dell’anno di pandemia, sopravvive solo chi vende i prodotti della campagna

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 Ragusa - Un anno di Covid gli agriturismi italiani hanno perso 1,2 miliardi di euro e lo scontrino più salato l’ha pagato la Sicilia, dove i mancati introiti hanno toccato in alcuni territori il 95% in meno di incassi: in pratica come se, per 12 mesi, un intero comparto del settore alberghiero, ristorativo e turistico non fosse esistito. Nel Paese solo aziende collinari e montane dell’Emilia Romagna hanno registrato un crollo pari a quello dell’Isola, perché le imprese vicino alle città sono riuscite a contenere i cali attorno al 35%, grazie alla vendita diretta e al turismo di lavoro. I dati sono raccolti dall’associazione che riunisce gli agriturismi di Confagricoltura, al netto delle ovvie variazioni stagionali che – nel periodo estivo – hanno evitato il disastro totale.

Delle molte tipologie di struttura che rientrano nella categoria, le più colpite sono state le fattorie didattiche, seguite dalle strutture di montagna, collina e termali. Non è che la media delle altre regioni sia tanto meglio Da Nord a Sud in Veneto, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Calabria il fatturato è calato tra il 70 e l’80%. Allo stato, il 90% degli agriturismi sparsi sul territorio nazionale è di fatto temporaneamente chiuso ma si tratta di realtà che potrebbero giocare un ruolo chiave nella transizione economica verde prospettata dall’amministrazione Mario Draghi. “Occorre dare fiato alle attività con indennizzi veloci, rateizzazioni, riduzione di oneri e semplificazione - dice Augusto Congionti, presidente di Agriturist - ma contemporaneamente programmare azioni specifiche di comunicazione e promozione dell'agriturismo”. 


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