Cultura Cos'è verità

Il racconto della Passione

Il Vangelo secondo Giovanni

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Non affronteremo l’argomento da un punto di vista religioso, ma semplicemente e strettamente letterario. Perché i racconti della passione di Cristo sono sublimi, magnifici nella loro sintesi. In particolare, la passione raccontata dall’autore del IV vangelo è un piccolo capolavoro della letteratura sacra. Non entreremo nelle infinite questioni teologiche che riguardano il cosiddetto vangelo di Giovanni: la datazione, l’autore, se era veramente “il discepolo che Gesù amava”, se ha subito o no influenze gnostiche, a quale pubblico era diretto. Tutto questo, infatti, prescinde dal bellissimo racconto della passione che l’autore del IV vangelo descrive, completamente differenze rispetto a quello proposto dai tre sinottici.

A partire dall’arresto del Cristo fino alla crocifissione, il racconto è un climax in cui Gesù “il figlio dell’Uomo” si manifesta, paradossalmente, in tutta la sua grandezza. Ma la grandezza è manifestata nell’umiltà e nella solitudine. Il vero significato della passione di Cristo, infatti, non è tanto il dolore fisico provato dal Cristo, le percosse, la flagellazione romana e infine la morte. E’ la solitudine di un uomo che viene abbandonato dai discepoli nel momento della fine: si addormentano nell’orto invece di pregare con lui, Giuda lo tradisce e Pietro lo rinnega tre volte per paura. Ma quello che sorprende di più in questo racconto è la figura di Pilato. La prima scena si svolge nel Getsemani, il posto in cui Gesù era andato a pregare. E qui si manifesta il primo paradosso: Giuda arriva con le guardie armate e alla domanda “Chi cercate?”, risposero: “Gesù il Nazareno”. l’agnello risponde “io sono”. Con le semplici parole manifesta la grandezza e la gloria e le armi vengono riposte. Intima a Pietro, infatti, di rimettere la spada nel fodero. Quell’ “io sono” del Cristo si contrapporrà, poi, all’”io non sono” di Pietro durante il suo rinnegamento. Condotto da Caifa e Anna, i sommi sacerdoti, il Cristo risulta ancora più indifeso: il messia viene percorso da un servo e risponde malamente ai sommi sacerdoti, che pur essendo i detentori della verità delle sacre scritture, non riconoscono il messia. Ma i sommi sacerdoti decidono di condurre il Cristo da Pilato. Il procuratore romano esce per incontrare le autorità religiose che vogliono compiere un delitto ma non vogliono allo stesso tempo violare le leggi rituali della Pasqua. Il messia si confronta con il potere temporale, rappresentato da Pilato. E Pilato appare subito infastidito: cosa c’entra lui con le questioni religiose? Sono cose che non lo riguardano, perché incapace di comprenderle fino alla fine. I capi religiosi insistono affinchè lo interroghi. Con il suo dichiararsi “il re d’Israele”, il messia, Gesù è un ribelle nei confronti di Roma. Ma il Cristo dice di essere venuto al mondo “per rendere testimonianza alla verità”.

Ed eccolo, allora, il nocciolo della questione.

Tutto il racconto e il dialogo fra Pilato e Cristo è incentrato sul concetto della Verità. Esiste una verità universale, capace di coinvolgere tutto il mondo? Di spiegare, fino in fondo, il significato non solo dell’esistenza ma di tutta l’eternità? Pilato rivolge al Cristo l’unica domanda pertinente di tutti e quattro i racconti evangelici. Il procuratore romano, un pagano, un gentile, uno straniero, fa a Gesù l’unica domanda che abbia un senso puramente logico e si pone al suo confronto come un agnostico, incapace di seguire il messaggio del Cristo ma comunque desideroso di conoscerne e di carpirne il mistero. Pilato è la rappresentazione di ogni essere umano. Ed è interessante, a questo punto, la risposta del Cristo. Il Cristo, non risponde. Pilato è convinto dell’innocenza di Gesù e tenta di salvarlo, capace a modo suo di capire quale sia la verità. Decide di farlo frustare, deridere e umiliare. Si presenta con il mantello e la corona di spine: è la rappresentazione di un re fantoccio, un re umile e mansueto, fustigato e flagellato. “Ecco l’uomo”, dice Pilato presentandolo alla folla, sperando di calmarla. Quel re, così presentato, che danno può arrecare al potere di Roma o a quello dei sacerdoti? E qui, Pilato pone un’altra domanda a Gesù, anche questa piena di grandezza umana, perché provvidenziale per la sua carriera politica: “Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?” E Gesù risponde: “Tu non avresti nessun potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande”. Pilato, l’umano, si manifesta in questa domanda. Pur avendo riconosciuto l’innocenza di Gesù e aver compreso la verità, teme per la sua carriera. I sommi sacerdoti, infatti, lo redarguiscono: se lui libera un ribelle, non è amico di Cesare. E poi, la bestemmia delle autorità religiose, la rinnegazione totale del messia: “non abbiamo altro re che Cesare”.


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