Cultura Centenario dalla morte

Maria Paternò Arezzo e il suo testamento: Un ospedale per Ragusa



Nata l’11 dicembre del 1869, Maria ("bella figura, gentile di modi, buona d’animo", come la definisce lo storico Sortino Trono) fu la secondogenita di Vincenzina Arezzo, baronessa di Donnafugata, e di Giuseppe Maria Alvaro Paternò, principe di Sperlinga e Manganelli.

Sposò, molto giovane, Francesco Marullo Balsamo, rampollo di una delle più antiche e prestigiose famiglie di Messina. Dopo le nozze Maria dovette trasferirsi nella città dello Stretto, lasciando a malincuore l’affezionato nonno Corrado e i luoghi della sua infanzia. Ragusa restò costantemente presente nei suoi pensieri.

Ma ad appena 39 anni, e senza prole, Maria Paternò Arezzo e il giovane coniuge, dovevano trovare tragica fine, sotto le macerie del loro palazzo, distrutto nel terremoto del 28 dicembre 1908. La tragica fine di una delle più belle città siciliane fu resa ancora più drammatica per gli inadeguati e tardivi soccorsi alle popolazioni; ne è prova il fatto che solamente dopo alcuni mesi dal sisma, dietro pressante interessamento del dott. Luigi Floridia, allora presidente della Congregazione di Carità di Ragusa, vennero effettuati gli scavi fra i ruderi dell’abitazione dei Paternò-Marullo.

Insieme ai loro corpi martoriati furono rinvenuti il testamento ed una lettera-codicillo di Maria, datati 8 febbraio 1900, Nella mente della principessa era maturato il desiderio di manifestare con fatti concreti il suo sincero legame a Ragusa. Con tali documenti infatti offriva ai suoi concittadini un segno tangibile della sua bontà d’animo e disponeva la realizzazione di una importante opera di beneficenza: un ospedale.

Ci piace riportare il testo delle volontà di Maria Paternò Arezzo: «Avendo io sempre desiderato di fare qualche cosa in prò dei poveri sventurati diseredati della fortuna, voglio che, avvenuta la mia morte, cominci a fabbricare un ospedaletto per n. 30 infermi,

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e quando sarà finito gli costituisca una rendita adeguata, nominandone amministratori i due parroci di San Giorgio e di San Tommaso, oltre ad una terza persona di libera scelta. Voglio che detto ospedale porti il mio nome, e che alla mia morte si sappia che io raccomandai di iniziare subito quest’opera di beneficenza, e ciò non per mia vanagloria ma per non essere tacciata d’ingrata verso il mio paese. Nel fondare questo ospedaletto prego imporre che sia affidato alle suore della Carità, sotto pena di decadenza se

qualcuno vuole opporsi a questa mia volontà. Per la rendita da costituire potrà essere assegnato un fondo. Oltre alle condizioni delle Suore mettere pure che se il Governo o la Congregazione

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di carità volessero porvi mano, il sopradetto ospedaletto dovrà ritornare al donante».

Essendo morto anche il marito della testatrice, ovvero l’erede usufruttuario, e per la mancanza di prole, fu designato come erede il barone Corrado Arezzo Giampiccolo, appartenente ad un ramo collaterale della famiglia.

Il testamento ed il codicillo olografo furono depositati a Messina, presso il notaio Dionisio Lombardo, il 22 maggio 1909.

Il terribile sisma, che doveva radere al suolo la "Regina del Bosforo d’Italia" (così veniva chiamata Messina), all’alba di quel freddo lunedì, due gironi dopo il Natale, si avvertiva alle 5,20 del mattino, con un boato sordo. «La terra - si legge nelle cronache del tempo - iniziava tremare con inaudita violenza per 30 lunghissimi secondi. La scossa raggiunse il 10.mo grado della scala Mercalli (7,1 della scala Richter), con epicentro stimato in pieno stretto di Messina.Seguirono nelle ore successive, altre scosse con intensità

dell’8° grado della scala Mercalli. La forza liberata fu tale da essere avvertita da Campobasso a Malta, a Ustica e persino in Albania. Su Messina e su Reggio Calabria si alzarono altissime nubi di polvere; il mare si ritirò di circa200 metri e ribollì. Si ebbero numerosi focolai di incendi, in gran parte generati dal gas fuoriuscito dai lampioni di illuminazione pubblica. Il maremoto

provocò ben 2000 morti. Le vittime, in totale, furono ben 80 mila!

La città, che contava 150 abitanti, fu quasi del tutto rasa al suolo. Solamente il 2% degli edifici non fu seriamente danneggiato. I palazzi crollati furono 6800 a Messina e 3420 a Reggio Calabria. Crollarono 186 chiese, 25 conventi e 15 monasteri».

L’Ospedale

L’ospedale "Maria Paternò Arezzo" venne inaugurato nel 1923, dopo varie peripezie ed ostacoli legati agli eredi più intimi della principessa, in particolare la sorella, Clementina Paternò, viscontessa di Lestrade, la zia, duchessa di Albafiorita, e il principe di Manganelli; nelle liti, poi risolte, si inserì anche la Congregazione di carità. Tali lungaggini suscitarono il malumore

popolare. Si deve all’erede della principessa, Corrado Arezzo Giampiccolo, se, superate tutte le traversie giudiziarie (nell’agosto del 1914), si dava inizio all’opera, in aperta campagna (dove pare esistesse già un ospedaletto), completata nel 1922. E, approvato in tutte le sue parti il collaudo dei fabbricati redatto dall’ing. Ignazio Emmolo il 20 ottobre del 1922, il "Maria Paternò Arezzo" veniva ufficialmente inaugurato il 28 gennaio 1923, alle ore 14. «Festa grande - si legge in una relazione del tempo – quel giorno per Ragusa Ibla che vedeva realizzato e funzionante il suo primo "grande" ospedale. La cerimonia, presenti le massime autorità e i rappresentanti della famiglia Paternò Arezzo, fu accompagnata dalle marce della locale banda cittadina».

Giovanni Pluchino

La Sicilia


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