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Racconto, i 70 anni della Tv e il nostro Musichiere

Una nostra lettrice ci manda un racconto di famiglia per i 70 anni della Tv in Italia

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Serata mondana all’oratorio il sabato sera. Padre Pasquale, abile e lungimirante affabulatore, aveva convinto la curia ad acquistare un televisore per la parrocchia: “a scopo sociale”, così aveva persuaso l’anziano vescovo che nicchiava considerandolo una diavoleria.

Mamma, Io e Sorellina  uscivamo col vestito buono per andare  a vedere “Il Musichiere”, il famoso programma, presentato da Mario Riva, che andava in onda proprio il sabato sera sull’unica rete televisiva allora esistente. Fu uno dei primi quiz trasmessi dalla RAI che vivacizzavano le serate degli italiani del boom economico post bellico. Andare all’oratorio era il solo svago che ci potevamo permettere. Alle 20:30 si riempiva di parrocchiani ed il chiacchiericcio cessava non appena don Pasquale spegneva le luci e partiva la sigla del programma: “Domenica è sempre Domenica”, un inno Leopardiano cantato agli italiani  in attesa del dì di festa.

Padre Pasquale affittava le sedie tenute accatastate nel salone alla modica cifra di 5 lire l’una riuscendo a recuperare, poco per volta, qualche soldo per pagare le bollette della luce; era una trovata per giustificarsi col vescovo. Mia sorella stava in braccio a mia madre e vi si addormentava poco dopo, evitavamo così l’affitto di una terza sedia.

Alla fine degli anni cinquanta il televisore era appannaggio di pochi, ciò nonostante la nostra frequentazione settimanale dell’oratorio non durò molto. Mio padre, dopo tante peripezie aveva, finalmente, “il posto fisso” come magazziniere alla filiale locale della Lancia. Il cervello di mia madre, donna intraprendente e aperta alla tecnologia moderna, si mise in moto e cominciò a valutare l’ipotesi di comprarne uno. Prese a calcolare le rate e, dopo svariati tagli, restrizioni, equilibrismi, sospiri e rinunce, e supportata dalla mia determinante osservazione: “Mamma, non dobbiamo più affittare le sedie all’oratorio”, concluse che:  Sì, ce l’avremmo fatta, potevamo affrontare la spesa.

Il giorno successivo andò da un conoscente che aveva il negozio di elettrodomestici in centro e comprò, senza indugio alcuno, un televisore 21 pollici firmando un numero spropositato di cambiali. Mio padre la lasciava fare, le iniziative in casa erano tutte di Mamma e si trovava bene così. Papà era un capofamiglia ad interim, cioè lo diventava quando mia madre era assente.

Il televisore ci venne consegnato che a casa c’eravamo solo noi donne; mia madre, per non farlo sciupare, subito vi cucì sopra una copertina di cretone fantasia, apribile davanti, come fosse un sipario, che rifinì col cordoncino dorato. Era bellissimo. Nel ripiano inferiore del mobile su cui avevamo sistemato l’apparecchio appoggiò una gondola in vetro azzurro, dal dubbio gusto, ma ci sembrò bellissima anche quella. Era tanto l’entusiasmo per il nuovo acquisto, ma per accenderlo avremmo dovuto aspettare fino a sera perchè le trasmissioni erano solo serali.

Era primavera inoltrata, c’era già caldo. Abitavamo al piano terra e, per inaugurarlo, decidemmo di aprire il portoncino di casa sedendoci fuori. Il televisore troneggiava dall’interno, era centrato davanti la porta e, nonostante fosse piccolo, dall’esterno si vedeva che era una meraviglia. Il vicolo non era trafficato, all’epoca non giravano molte auto in città e le poche che circolavano, a quell’ora, non sarebbero sicuramente transitate per la nostra via.

Stavamo per goderci la prima trasmissione televisiva seduti comodi a casa, come le persone benestanti, e la cosa non poteva passare inosservata. Infatti la nostra vicina sentendoci trafficare in strada si affacciò dalla finestra e,  rosa dalla curiosità, si avvicinò rimanendo affascinata alla vista del televisore. Senza preoccuparsi di chiedere permesso tornò a casa, chiamò il marito, e, trascinandosi due sedie, si sedettero entrambi dietro di noi a gustarsi lo spettacolo.

Solo alla fine delle trasmissioni i coniugi si alzarono e, ringraziando per la bella serata, se ne tornarono a casa soddisfatti.

La sera successiva la platea si ampliò. Si sparse la voce dell’evento e altri vicini, con altrettante sedie, dopo avere educatamente salutato, si accomodarono sul marciapiede davanti casa nostra molto soddisfatti perché non avrebbero consumato soldi all’oratorio per l’affitto delle sedie.

Nel giro di una settimana la chiesa perse clienti mentre si riempì di spettatori il “sagrato” di casa nostra. Non pensavamo di fare concorrenza a don Pasquale, ma così fu, senza volerlo.

Mio padre, che aveva poca pazienza, nei giorni successivi cominciò a brontolare perché gli ospiti non se ne andavano finchè dallo schermo del televisore non iniziava a scorrere all’indietro l’antenna della RAI, accompagnata  ‘dall’Armonia del Pianeta Saturno’, e compariva la scritta: “fine delle trasmissioni”.

“Qui si consuma troppa corrente” disse dopo una settimana a mia madre, parecchio scocciato, mentre richiudeva il portoncino di casa. Le settimane non erano arrivate a due che mio padre non ce la fece più a tacere. Al termine del programma di prima serata, senza alcuna remora, disse la frase che fu tra le risate riproposta per mesi nel quartiere e ricordata ancora oggi da tutti gli ospiti della serata: “Moglie, andiamo a letto che la gente se ne deve andare” e spense il televisore. Seguì un mormorio di disappunto, ma l’effetto fu immediato. Capirono l’antifona, raccolsero le sedie e tutti, bofonchiando, se ne tornarono a casa.

I miei genitori smisero così di aprire al pubblico l’accesso alle trasmissioni e riuscirono a preservare sia il bilancio della famiglia che quello di padre Pasquale. La serata si concluse alle 10:30 con la chiusura del sipario di cretone sul televisore. Anche se non avemmo più il pensiero degli ospiti da intrattenere, ma solo quello delle cambiali da pagare a fine mese, ci rendemmo conto che quell’elettrodomestico aveva cambiato la nostra vita.


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